Non si sa ancora quando ci sarà il fatidico momento di votare per la Regione Veneto, ma nel frattempo pare che qualche nome venga tirato in ballo, rischiando così di “bruciarsi”. Eppure, il Partito Democratico ha decisamente levato le ancore. Lunedì sera, dalla direzione provinciale vicentina del Pd (dove il sindaco è Giacomo Possamai, ex capogruppo dem in consiglio regionale e un possibile candidato forte per il 2030), è emerso un documento che menziona formalmente Chiara Luisetto, consigliere regionale. Ma naturalmente, questo ha sollevato più di una sopracciglia, soprattutto in opposizione a Vanessa Camani.
Ecco che la capogruppo di palazzo Ferro Fini, poche ore prima, riceve un endorsement a sorpresa da parte di Flavio Zanonato. Una manovra astuta? Certamente un bel colpo di scena.
Durante il dibattito interno, Zanonato esprime la sua preoccupazione: “È grave che nel dibattito interno al Pd non si stia considerando seriamente la candidatura di Vanessa Camani. Come capogruppo, ha dimostrato in breve tempo di saper gestire con autorevolezza il proprio lavoro di opposizione, è costantemente presente sul territorio e conosce a menadito i dossier regionali. Ha smascherato con astuzia la propaganda di Luca Zaia. Inoltre, è giovane, ben radicata e politicamente affidabile: ha davanti a sé tutto il tempo per costruire una prospettiva, anche in caso di una sconfitta, che pare probabile, se vogliamo essere onesti.”
Ma ecco il colpo di scena: non basta un nome tirato giù dall’alto per “giocarsela” sul campo; serve qualcuno che possa rappresentare una scommessa politica credibile, capace di tenere unita la coalizione e di dare un futuro al centrosinistra veneto.
Ed ecco le parole che hanno innescato il panico nel centrosinistra. Luisetto risponde prontamente: “Sono lusingata dal fatto che la componente territoriale del partito abbia fatto il mio nome, ma c’è già una capogruppo: Camani. Un nome di peso, su cui il tavolo di discussione dovrebbe concentrarsi”.
È così che il centrosinistra dovrebbe riflettere, e non serve essere dei geni per capirlo — anzi, a quanto pare, non basta nemmeno aver lavorato tre anni in consiglio. Il documento del PD vicentino mette in risalto l’urgenza di spostarsi verso un nome politico, perché “politico” è decisamente più trendy rispetto al mantra del “civico”, che sembra stancare. Quanti “no” possono collezionare, a partire da quello di Antonella Viola? Un vero campionato di rifiuti!
Il dilemma è tutto qui: sono giorni che il centrosinistra si dibatte tra un nome esterno ai partiti e un candidato armato di tessera. Ma sul tavolo, come si ragiona tra i grandi della democrazia, a partire da Zanonato, c’è anche una visione politica da cristallizzare. La fine dell’era Zaia sta bussando alle porte e continua a chiedere: “Dove andate così, senza un piano?” Un profilo politico per il 2025 è un desiderio di chi sogna di partire alla conquista della fortezza inviolata del centrodestra, e chi non si rassegna a rimanere in minoranza deve cominciare a svegliarsi.
È il pensiero di Paolo Giaretta, che afferma: “Ciò che serve è un politico.” Ma certo, non vogliamo far del male a Vanessa, anche se la benedizione degli anziani non è proprio un passaporto per il successo. Certo, lei ha guidato l’opposizione con fermezza — complimenti! — ma siamo sicuri che basti?
Mercoledì sera, il tavolo del centrosinistra si riunirà e si profila già il finale prevedibile: saranno gli ultimi nomi civici, che, da Erika Baldini (5s) a Enrico Bruttomesso (Avs) fino a Marco De Pasquale (SI) ed Elena Ostanel (VcV), sembrano intenti a non mollare. Attenzione, c’è il Fabio Salviato di Banca Etica e l’ex sindaco di Feltre, il Paolo Perenzin di SI, che sono come il pandoro a Natale: impossibile evitarli.
Tutti concordano, ammirando il proprio riflesso, che “c’è tempo” — perché chi mai ha fretta? — per passare alla fase 2 dei profili politici. Il limite è un mese, come dice la Baldin, ma dicono che sarebbe il caso di muoversi prima. “Ogni partito avrà il suo nome”, esclama De Pasquale, e sia chiaro: “I nomi per il PD li deciderà la segreteria.”
Bruttomesso aggiunge un osservazione che farebbe ridere se non fosse tragica: “Non è così inusuale considerare il nome del capogruppo.” Sì, certo, come se la buona gestione fosse l’unica cosa che serve. La verità è che questo tavolo traballa sotto il peso delle spinte contrapposte e a tenerne le fila è Andrea Martella, il segretario del PD, che ripete come un mantra la parola: condivisione. E tanta pazienza, pare, sarà necessaria per domare la tempesta.