Ecco come la Polizia postale ci fa la predica sul “denunciare” dopo i soliti drammi di Mia Moglie e Phica

Ecco come la Polizia postale ci fa la predica sul “denunciare” dopo i soliti drammi di Mia Moglie e Phica

È ora di smetterla con le mezze misure: denunciare è l’unica vera soluzione, segnalare non basta. Lo dice la Polizia postale, che sembra stanca di far la parte del pompiere mentre gli incendi esplodono ovunque. Sì, parliamo di quegli scatti intimi rubati e caricati sul web all’insaputa delle vittime, spesso partner ignari e fiduciosi. Ma non si tratta solo di foto “hot”. Al mare, in casa, vestiti o svestiti con programmi che trasformano qualsiasi immagine in materiale da spillare like e views per pagine social, chat o forum più o meno oscuri. Insomma, la faccia nascosta e poco glamour del web, dove la privacy delle persone si volatilizza nel nulla, lasciando campo libero a chi sfrutta la rete senza scrupoli.

Il caso del gruppo intitolato Mia moglie, che ha fatto un po’ di rumore, era solo la punta dell’iceberg. Il vero problema è che, nella maggior parte dei casi, il controllo sui propri scatti finisce lì: impossibile. La maggior parte dei contenuti si muove in gruppi chiusi di messaggistica istantanea o spazi digitali meno controllabili come forum e piattaforme ristrette.

Il vicequestore Giancarlo Gennaro, numero uno della Polizia postale, fa il punto con la solita franchezza che ci vuole in questi casi:

“Il monitoraggio personale delle foto da parte della vittima è praticamente impossibile perché la maggior parte di questi contenuti viene diffusa in ambienti chiusi o poco noti al grande pubblico. Le vittime spesso nemmeno immaginano che le loro immagini siano sparpagliate in rete. Nei prossimi giorni, comunque, prevediamo un aumento significativo delle denunce, soprattutto da parte di chi scoprirà per caso di essere finito online.”

Nel frattempo, non solo foto a tradimento: persino i video delle videocamere di sorveglianza vengono sgranati e messi in rete, aprendo un vero e proprio vaso di Pandora. La gente inizia forse a capire che il fenomeno è ben più esteso e pericoloso di quanto avessimo pensato. La vera arma a disposizione delle vittime? La denuncia, l’unica arma legale capace di mettere in moto le autorità e rimediare almeno in parte a questo caos digitale.

“La diffusione illecita delle immagini è perseguita solo se la vittima decide di sporgere denuncia: senza querela, nessuna procedura può partire. Questa è la condizione imprescindibile per attivare le indagini e consentire agli organi competenti di intervenire.”

Naturalmente, le indagini sono un inferno di complessità tecnologiche. Grazie a programmi economici e alla tecnologia, chi compie questi misfatti si muove in un mondo anonimo e impenetrabile per le forze dell’ordine. VPN, server “nascosti” come Tor e altre diavolerie digitali creano un labirinto di tracce false e identità nascoste.

Gennaro ironizza sulla difficoltà di stanare questi “pirati della privacy”:

“A meno che chi pubblica non operi sotto il proprio nome e cognome, ricostruire l’identità dietro a queste pubblicazioni è una sfida pressoché impossibile. Se un utente sa il minimo sulla sicurezza digitale e si arma di qualche trucchetto base per mascherare il suo indirizzo IP, noi non abbiamo chance di risalire a lui.”

I consigli della Polizia postale per i social

Un monito che suona un po’ come un invito a camminare sul filo del rasoio con buon senso, specialmente per chi si diletta di selfie e condivide a man bassa. La Polizia postale consiglia di evitare l’esposizione eccessiva di immagini personali, un consiglio che suona tanto come una sberla per gli aspiranti influencer ossessionati dalla visibilità a ogni costo.

Capire dove si possa spingere la condivisione è diventato un esercizio di equilibrio tra vanità e sicurezza. Ancora più delicato è il discorso sui minori: caricare foto dei figli può sembrare innocuo, ma una volta online, i rischi di duplicazione e uso improprio aumentano esponenzialmente. Pubblicare equivale a esporsi — dai commenti velenosi a chi usa quelle immagini per fini discutibili.

Un po’ di attenzione non uccide nessuno, anzi, è ciò che serve per non farsi sommergere in questo mare digitale che non perdona. La morale? Non si può affidare la propria dignità e privacy al caso e agli algoritmi, serve una buona dose di prudenza e consapevolezza quando si naviga sulla rete.

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