L’Italia, quella terra di santi, poeti e navigatori, non produce nĂ© possiede armi nucleari. Tuttavia, con grande spirito d’accoglienza, ospita nel suo suolo bombe atomiche americane grazie al prisma incantato chiamato “condivisione nucleare” della Nato. Ma vi siete mai chiesti come si muoverebbe la macchina burocratica e militare italiana se, per un improbabile colpo di scena, si decidesse di premere sull’oscuro pulsante della bomba atomica? Scordatevi procedure rapide: qui si tratta di procedimenti che farebbero impallidire anche Kafka.
Prima di estrarre la carta nucleare dal mazzo, qualcuno dovrebbe convincersi che l’unica risposta a una minaccia non sia un semplice bazooka o un missile convenzionale, ma proprio quella bomba dall’effetto scenico devastante. Solo allora si attiverebbe un circo di consultazioni a livelli altissimi: il famigerato Consiglio Supremo di Difesa, dove siedono il Presidente della Repubblica (unico vero pezzo da maestro), il Premier, e un’armata di ministri definiti “strategici” come quelli degli Esteri, della Difesa, dell’Interno, dell’Economia e dello Sviluppo Economico, con tanto di Capo di Stato Maggiore della Difesa al seguito. In questo claustrofobico consesso si discuterebbe dell’uso dell’atomica, bilanciando al meglio la minaccia incombente e la salute mentale di chi deve decidere.
Naturalmente sarebbe impensabile che la decisione finale, degna di un thriller politico, si consumasse senza un passaggio parlamentare. GiĂ immaginiamo lo spettacolo delle commissioni e dei dibattiti: chi ha paura dell’atomo alzi la mano. DopodichĂ©, carta canta: si passa alla parte “tecnica” militare fatta di ordigni, obiettivi, codici segreti e passaggi formali degni di una spy story. La parola magica? L’attivazione del leggendario “bottone nucleare”. Ma chi spingerebbe realmente quel famoso bottone? Se si seguisse il modello francese, è lavoro del Presidente della Repubblica, mentre all’inglese spetterebbe al Primo Ministro, un vero e proprio jolly nucleare con potere assoluto.
Pietro Batacchi, direttore di una rivista militare, non usa mezzi termini nel descrivere la questione: il Capo delle forze armate è costituzionalmente il Presidente della Repubblica, certo, ma in un pasticcio del genere non si scherzerebbe nemmeno un secondo. La decisione sarebbe un patto sacrale tra Quirinale e Palazzo Chigi, con i vertici militari pronti a mettere in pratica l’ordine, coordinate e vettori inclusi. Un’operazione dove tutto dev’essere rigorosamente sincronizzato, altrimenti addio al plausibile “controllo democratico”.
Leonardo Tricarico, generale ed ex capostaff dell’Aeronautica, regala un tocco finale a questa tragicommedia a tempo nucleare: qualsiasi ordine di questo calibro deve essere rapido, chiaro e a prova di qualunque confusione o crisi di nervi. E, come ciliegina avvelenata, ricorda che tutto deve passare anche da una ratifica parlamentare, idealmente con il consenso di tutte le forze politiche. Giusto per rincuorare che, quando si parla di bombe atomiche in Italia, c’è almeno una parvenza di burocrazia a frenare l’istinto distruttivo.
Insomma, in Italia, l’uso di un’arma nucleare sarebbe una minuziosa commedia in più atti, dove la democrazia balla il tango con la minaccia atomica. Rimane solo da sperare che questa danza non finisca mai in tragedia.



