Nel cuore del Veneziano, oggi, lunedì 4 agosto, si è consumata l’ennesima tragedia sul lavoro che toglie il respiro alla collettività. Due operai, rispettivamente di 40 e 23 anni, hanno perso la vita cadendo in una fossa biologica vicino a un’abitazione nella frazione di Veternigo, all’interno del comune di Santa Maria di Sala. Un incidente che, come al solito, ha spinto i pompieri a intervenire non solo per recuperare i corpi, ma anche per mettere in sicurezza un’area avvelenata da dolore e superficialità.
Luca Zaia, il presidente della Regione Veneto, ha voluto subito aggiungere la sua stoccata di circostanza: “Un’altra tragedia sul lavoro che lascia sgomento e dolore”. Naturalmente, ha espresso il “sentito cordoglio” alle famiglie delle vittime, come se la ripetizione rituale potesse lenire l’assurdo di perdere la vita per svolgere un mestiere.
Zaia ha precisato: “Morire sul lavoro è inaccettabile. È indispensabile chiarire con rapidità se siano state rispettate le norme di sicurezza, la formazione degli operatori, la pianificazione e il controllo dell’intervento”. Parole sacrosante, certo, ma un po’ tardive quando ormai si conta l’ennesima fatalità evitabile. “Attendiamo i risultati degli accertamenti – ha concluso – serve rigore, formazione e consapevolezza, specialmente in ambienti confinati come fosse e cisterne, perché non possiamo continuare a contare morti sul lavoro.”
La conta spaventosa degli incidenti: un bollettino di guerra silenzioso
Se pensavate che agosto avrebbe portato una tregua, vi sbagliate di grosso. Da venerdì a oggi l’Italia ha assistito a otto incidenti sul lavoro, con un tragico bilancio di tre morti e dieci feriti gravi sparsi dal nord al sud del paese, cantieri messi sotto sequestro, vite spezzate. Un bollettino da zona di guerra che nessuno sembra essere in grado di fermare.
Le cause sono stucchevoli quanto prevedibili: cadute dall’alto, folgorazioni, esplosioni, e schiacciamenti. Le conseguenze? Famiglie distrutte e una nazione che continua a balbettare sull’insicurezza strutturale nei luoghi di lavoro, in uno straziante loop di incapacità e negligenza.
Solo negli ultimi giorni, il 1° agosto, nella provincia di Salerno, a Montecorvino Pugliano, tre operai sono stati gravemente feriti dal ribaltamento di un cestello durante il montaggio di un’insegna pubblicitaria. Sempre lo stesso giorno, a Roma, due operai hanno riportato ferite a seguito di un’esplosione in una cabina elettrica durante lavori di manutenzione. Nel vicentino, a Malo, altri due operai sono precipitati da un’impalcatura alta otto metri.
Il 2 agosto, un giovane operaio di 31 anni ha perso la vita folgorato mentre lavorava su una piattaforma a sei metri d’altezza a Villadossola. E oggi, due altri giovani, di 30 e 20 anni, sono morti in Veneto, cadendo in una cisterna per la raccolta di residui biologici a Santa Maria di Sala. Morti che urlano all’impotenza di un sistema incapace di proteggere chi è chiamato a costruire e servire il paese.
Se qualcuno si ostina a chiamarle “fatalità”, forse è il caso di ricordare che dietro ciascuna di queste tragedie c’è quasi sempre un copione già scritto: mancanza di formazione adeguata, scarse condizioni di sicurezza e controlli al minimo indispensabile. Forse è ora che le parole cedano il passo a decisioni concrete, perché continuare a piangere i morti è diventata una triste routine che nessuno sembra voler interrompere.
Giuseppe Di Bella, presidente dell’associazione che si occupa di sicurezza sul lavoro, non perde tempo a fingere ottimismo: “Chiediamo un cambio di passo vero e concreto. Più prevenzione, più controlli che non siano solo sulla carta, formazione realmente efficace e un aggiornamento normativo che non resti un semplice esercizio di stile.” Insomma, parole che sembrano uscite da un vecchio disco rotto, ma forse chi ascolta è troppo impegnato a risparmiare sui caschetti per interessarsi davvero. Perché la sicurezza, conclude Di Bella, deve finalmente essere vista come un valore irrinunciabile, non come un costo da tagliare a colpi di forbici.”
I dati dell’Inail ci regalano un quadro da incubo: nei primi cinque mesi del 2025, le denunce di incidenti mortali sono aumentate del 4,6%. Parliamo di 386 vittime, ma attenzione, non siamo ancora ai capolavori del 2024, quando gli infortuni mortali nel settore delle costruzioni hanno totalizzato 182 casi, ovvero il 20,5% del totale di 886 decessi in tutti i settori lavorativi. Tradotto, uno su cinque muore facendo forse l’unica cosa che gli aveva garantito un salario. E indovinate qual è la causa principale? Le cadute dall’alto, responsabili di oltre un terzo delle morti. Mediamente, stiamo parlando di 60-65 vittime all’anno solo per questo motivo. Una statistica che dovrebbe far riflettere, se qualcuno ancora si fosse perso la portata del problema.
Ma cosa fa lo Stato? Apparentemente, se è per questo, organizza lutti e funerali a suon di responsabilità che sembrano vagare nel limbo. Solo due settimane fa, a Napoli, tre operai sono morti per il crollo di un cestello durante lavori di ristrutturazione. E neanche il tempo di rimettere insieme i pezzi del cuore che, cinque giorni dopo, un altro operaio cade da sei metri di altezza a Cagliari e perde la vita. Nell’indifferenza generale, si torna a insistere per l’istituzione di una Procura Nazionale del Lavoro che coordini indagini sui reati legati alla sicurezza e velocizzi la giustizia. Un sogno, ovviamente, visto che finora gli incidenti mortali si susseguono come una serie infinita senza che la macchina della giustizia riesca a mandare un segnale forte e chiaro.
Di Bella conclude con la solita retorica che ormai ha il sapore amaro delle promesse non mantenute: “Non possiamo più fermarci ad assistere impotenti a queste tragedie che si potrebbero evitare. Alle famiglie delle vittime va tutta la nostra vicinanza, perché sappiamo bene cosa significhi affrontare un dolore così improvviso e profondo.” E guai a chi toccherà anche solo pensare di ridurre i controlli o la formazione, perché evidentemente stiamo parlando di qualcosa che per qualcuno deve continuare a rimanere solo un fastidioso dettaglio di poco conto.



