Dazi USA: Coldiretti si illude di volare a 9 miliardi con le esportazioni italiane di cibo

Dazi USA: Coldiretti si illude di volare a 9 miliardi con le esportazioni italiane di cibo
Coldiretti e Filiera Italia puntano a 9 miliardi di euro di export agroalimentare verso gli Usa, ma i dazi e il dollaro debole mettono i bastoni tra le ruote

Davvero ambizioso puntare a 9 miliardi di euro di esportazioni agroalimentari negli Stati Uniti, soprattutto considerando il massiccio ostacolo rappresentato dai dazi doganali e dal dollaro fiacco. L’ultimo bollettino dal fronte export è da brividi: nel primo mese di applicazione dei dazi statunitensi, la crescita del cibo italiano negli USA è precipitata a un modesto +1,3%, una bella batosta rispetto al +28,7% strabiliante dell’anno prima. Un campanello d’allarme più che sufficiente a far riflettere le trattative in corso tra Unione Europea e Stati Uniti.

Il monito arriva da un’analisi firmata Coldiretti e basata sui dati Istat, diffusa in occasione dell’apertura del Fancy Food di New York. L’evento dedicato all’eccellenza della dieta italiana, organizzato insieme a Filiera Italia, ha visto la presenza di autentiche celebrità del settore agroalimentare come Vincenzo Gesmundo, Ettore Prandini, Francesco Lollobrigida e altri illustri rappresentanti del Made in Italy.

Il pugno duro dei dazi si è fatto sentire pesantemente già ad aprile, quando la scure di Donald Trump ha tagliato le ali alle esportazioni europee: dalle tariffe iniziali del 20% si è fatto un passo indietro solo figurativamente, riducendole al 10%, ma il danno era ormai fatto. La crescita dell’export agroalimentare negli USA in quell’aprile ha rallentato bruscamente rispetto allo stesso mese del 2024 e perfino rispetto al positivo primo trimestre del 2025, che segnava un +11%. Per tirare le somme con un minimo di chiarezza toccherà attendere i dati di maggio e giugno, quando finirà il “catch up” delle scorte accumulate.

Cominciando dai prodotti simbolo dell’Italia, la situazione è tutt’altro che rosea: il vino, fiore all’occhiello, perde il 9% ad aprile rispetto al +18,1% di un anno fa; i formaggi resistono ancora con un positivo +7%, ma lontanissimo dal +24,5% precedente; l’olio d’oliva, invece, è passato dall’essere una star con +75% a crollare miseramente del -17%. Insomma, una narrazione da tragedia moderna, con tanti applausi iniziali e tanti silenzi imbarazzanti dopo.

Ma non si tratta solo di numeri e statistiche: le conseguenze di queste tariffe non restano dentro i confini delle aziende italiane. Gli americani pagano infatti il conto più salato, con un aumento dell’inflazione già di suo non da poco e un dollaro sempre meno competitivo. Se i dazi al 10% dovessero persistere, potrebbe tradursi in quasi 800 milioni di euro di spesa in più per i consumatori USA, che tradotto significa meno gusto e più prodotti di dubbia qualità sulle tavole. Proprio a questo punto, si alza il sipario sul drammatico e ormai tristemente famoso rischio dell’“Italian sounding” negli Stati Uniti: prodotti falsamente spacciati per italiani, soprattutto nel comparto dei formaggi, dove il valore delle contraffazioni schizza oltre i 40 miliardi di euro. Davvero un modo elegante per dire “Made in non-si-sa-dove”.

Ettore Prandini, presidente di Coldiretti, spara a zero sulla situazione: “È fondamentale che l’Unione Europea trovi finalmente una soluzione diplomatica condivisa per arginare i danni devastanti di queste guerre commerciali. Ma al tempo stesso, non possiamo sottovalutare i dazi interni che strozzano le nostre imprese”.

Vincenzo Gesmundo rincara la dose:

“Questi dazi USA potranno avere un impatto pesantissimo sulla nostra economia nazionale. A rimetterci sono, per l’ennesima volta, tutti i cittadini italiani”.

Anche sul versante della promozione i toni sono più che allarmati: Luigi Scordamaglia, amministratore delegato di Filiera Italia, spiega come la strategia sia di ribaltare il piatto, combattendo la flessione delle esportazioni mostrando agli americani quanto la dieta italiana sia un vero elisir di salute. “È uno scudo contro le malattie non trasmissibili legate agli alimenti iperprocessati, che proprio l’ONU ha messo al centro della sua agenda quest’anno”, aggiunge con una punta di orgoglio.

Se tutto ciò vi ricorda la storia di un déjà vu, avete ragione. I dazi voluti da Trump nella sua prima presidenza avevano già causato un’ecatombe nell’export italiano tra il 2019 e il 2020: la frutta si era contratta del 15%, carni e pesce lavorato erano precipitati del 28%, formaggi e confetture giù del 19%, liquori del 20%, e il vino, almeno inizialmente salvo, aveva chiuso con un -6%. Una sinfonia di cali che ancora oggi sembra suonare sulle corde di politiche commerciali sorde e poco lungimiranti.

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