“Arrivano dagli Stati Uniti le prime lettere dei distributori che rifiutano categoricamente di accettare qualunque sovrapprezzo sui vini italiani. In questo marasma, emerge chiaramente un conflitto su chi dovrà farsi carico delle perdite economiche per mantenere i prezzi al consumo stabili. Le imprese italiane, sostiene Lamberto Frescobaldi, presidente di Unione Italiana Vini, non dovrebbero cedere, ma piuttosto imporsi nel mercato di un prodotto che arricchisce soprattutto le catene commerciali statunitensi.” Ebbene sì, lo scontro commerciale tra gli USA e “il resto del mondo” pare stia raggiungendo un’acuta intensità, un fatto confermato anche da Coldiretti. Ma la domanda cruciale rimane: chi rimarrà con il cerino in mano? Sarà l’esportatore, costretto ad accettare margini di profitto ridotti, o i grossisti e i consumatori americani che dovranno pagare di più a causa dei dazi?
Un colpo al cuore per l’export
Recentemente, Frescobaldi ha lanciato l’allerta: “Con i dazi americani che raggiungono il 20%, il mercato perderà circa 323 milioni di euro all’anno, mettendo a rischio molte delle nostre produzioni.” Uiv è fermamente convinta che un accordo tra le imprese italiane e i presunti “alleati commerciali” d’oltreoceano sia indispensabile, poiché sono questi ultimi a trarre maggior vantaggio dai vini importati. Tuttavia, al momento non sembra che gli “alleati” siano molto propensi a condividere il peso dei costi aggiuntivi. Quasi come un gioco di poker, la posta in gioco è alta, ma le carte non sono affatto trasparenti.
I numeri parlano chiaro
Secondo Uiv, un allarmante 76% delle 480 milioni di bottiglie italiane spedite negli Stati Uniti si trova in “zona rossa”, con una esposizione oltre il 20%. Prodotti come il Moscato d’Asti e il Chianti Classico fanno registrare picchi da brivido, con percentuali che sfiorano il 60%. In termini economici, questo rappresenta un valore di oltre 1.3 miliardi di euro, ovvero il 70% dell’export italiano verso gli USA. Coldiretti ci mette del suo e stima una perdita potenziale di 390 milioni di euro per i produttori italiani, se consideriamo il calo medio del 20% che si è già registrato in passato. Ma il paradosso della situazione è evidente: ci si aspetta che le aziende italiane “trovino una soluzione” mentre gli importatori statunitensi continuano a chiedere ribassi di prezzo alle spalle dei nostri produttori, già alle prese con l’aumento dei costi di produzione.
La questione dazi sotto gli occhi di tutti
Ritornando al Vinitaly, l’argomento dei dazi è un tema rovente. “Siamo in una tempesta perfetta, non è certo un bel momento, ma non perdiamo la fiducia,” sostiene Riccardo Cotarella, presidente di Assoenologi. “Il vino italiano è più forte di tutto ciò che lo minaccia,” afferma, sottolineando il simbolismo del nostro vino per il Paese. Ma mentre si celebra la “forza” del prodotto, ci si dimentica che non è solo una questione di dazi, ma anche di percezioni, legislazioni e una certa stampa che sembra divertirsi a screditare il settore. L’ottimismo di Cotarella appare quasi un atto di fede.
Quali soluzioni, in fondo?
Quindi, cosa si può fare? Si sono forse sottovalutate le varie dimensioni di questo scontro commerciale? Un possibile spiraglio potrebbe essere l’instaurazione di alleanze più solide tra i produttori italiani e nuovi mercati esteri, evitando il continuo logoramento con gli Stati Uniti. Ironico pensare che mentre ci si aggrappa alla tradizione, potrebbero esserci opportunità di sviluppare un’identità commerciale unica e diversificata. Ma si sa, la burocrazia spesso fa più danni che benefici. In questo quadro, l’interrogativo rimane: chi avrà davvero il coraggio di rompere gli schemi?