Nel giorno in cui i dazi reciproci del 20% imposti dagli Stati Uniti sui prodotti europei iniziano a avere effetto, i Paesi Ue si riuniscono per votare la loro prima contromisura a quella che è stata definita la guerra commerciale avviata da Donald Trump a metà marzo. Ma a ben vedere, il voto si traduce in una lista di prodotti americani a cui saranno applicati dazi del 25% e del 10%, una risposta al 25% già imposto da Washington su acciaio, alluminio e derivati Made in EU.
Un Valore Piccolo in un Gioco Grande
Il controvalore dei beni americani colpiti ammonta a circa 21 miliardi di euro. Una cifra che può sembrare modesta rispetto ai 380 miliardi di beni europei colpiti dai dazi complessivi introdotti da Trump, su cui l’Ue sembrerebbe avere il diritto di rispondere, almeno secondo le regole della WTO. Ma questa risposta è un po’ come combattere un drago con una spada di legno, mentre si spera in un “negotiation miracle”.
Scelte di Negoziazione o Pianificazione Disattesa?
La strategia di fondo rimane quella del negoziato, anche se le affermazioni sul bazooka commerciale (un termine che evoca più minaccia che reale azione) destano qualche perplessità. Si fa riferimento a strumenti di coercizione quando, in realtà, il dialogo appare prevalere: “il bazooka è sempre sul tavolo”, dice il portavoce della Commissione, Olof Gill. Ma la verità è che, mentre si discute, i danni continuano a crescere. “Non vogliamo un big bang”, si legge, ma a che scopo tutto questo tentennare, se la guerra era già stata aperta? Una sorta di “danza diplomatica” che rischia di trasformarsi in un balletto sul ghiaccio: elegante, ma scivoloso.
Divergenze nella Regolazione Tecnologica
In particolare, la Commissione ha messo in chiaro che la regolamentazione in materia di tecnologia e digitale è un discorso a parte rispetto ai dazi, affermando: “non confonderemo le due cose”. Si prosegue su sentieri paralleli, mentre gli Stati Uniti insistono per considerare l’Iva come barriera non tariffaria, un’affermazione che suona piuttosto bizzarra dal punto di vista europeo. Insomma, ognuno con le proprie idee, sperando che le nostre rimangano intatte e ben distinte nel gran caos del commercio internazionale.
Riflessioni e Possibili Soluzioni
Che fare? Si potrebbe sognare un vero piano di azione condiviso, o ancora meglio una maggiore coesione tra Paesi Ue per affrontare le sfide commerciali globali. Ma quanti anni ci vorranno per realizzare questo sogno? Un’utopia che potrebbe sembrare più vicina se si smettesse di ballare sul ghiaccio mentre il mondo intorno brucia di frustrazioni commerciali. La politica commerciale europea richiede contenuti e azioni, non solo promesse vuote e blande. E mentre il bazooka rimane sul tavolo, il vero rischio è che alla fine si spari solo a salve.
Gli Stati membri sembrano allineati nel sostenere l’elenco di beni proposto dalla Commissione europea, presentato con la premessa di essere il risultato di consultazioni approfondite. Ma, in fondo, che valore ha un documento stilato con «massima cautela» se già un mese fa il mondo era scosso dalla minaccia del bourbon tassato al 50%? In risposta, il presidente Trump non ha perso tempo, promettendo ritorsioni sullo champagne e sui vini europei, dimostrando così come le promesse protezionistiche possano facilmente trasformarsi in un gioco al rilancio.
Ecco la contraddizione: mentre la Ue tenta di evitare conflitti diretti con i controdazi, si concentra su prodotti di cui «non dipende sostanzialmente», come se il mercato fosse un semplice scacchiere da muovere. Il documento allegato, visionato da un giornale, evidenzia una provocazione inaccettabile: l’idea che tali misure possano «evitare un impatto negativo» sul mercato dell’Ue e sui suoi consumatori. È una prospettiva quantomeno ottimistica.
Al momento, le misure sui dazi entreranno in vigore in tre fasi, con il primo pacchetto di beni previsto per il 15 aprile. Riso, cereali, frutta… e chi più ne ha, più ne metta. Ma ci si potrebbe chiedere: qual è il fine reale di una strategia che si muove a scartamento ridotto? Forse sono solo contratti imbottiti da propaganda di buone intenzioni, visto che la vera preoccupazione riguarda gli «effetti indiretti» che questa manovra potrà avere sul mercato europeo, specialmente dopo l’aumento dei dazi americani sulla Cina.
La presidente della Commissione, Ursula von der Leyen, ha parlato con il premier cinese Li Qiang, esprimendo la necessità di affrontare la «deviativa degli scambi»: ma la domanda sorge spontanea: chi gioca davvero a fare la parte del leone? Il teatro delle relazioni internazionali è così intricato che non manca occasione di chiedersi se non sia solo uno spettacolo senza una trama coerente, dove si teme l’escalation e si spera in una «risoluzione negoziata», come se non vi fossero già abbastanza elefanti nella stanza.
Concludendo, le possibili soluzioni sembrano lontane anni luce dalle promesse fatte. Servirebbe una maggiore lucidità nei rapporti commerciali e meno giochi di potere, ma chi è disposto a cambiare la narrazione quando la confusione è il pane quotidiano? Forse un po’ di chiarezza, o almeno un accenno di sincerità, non guasterebbero in questa danza di dazi e contraddizioni.