Dazi in rialzo? Mattarella ci ricorda che giocare a protezionismo è il modo migliore per scatenare l’inferno della pace

Dazi in rialzo? Mattarella ci ricorda che giocare a protezionismo è il modo migliore per scatenare l’inferno della pace

Che sorpresa! Sergio Mattarella, il nostro amato capo dello Stato, decide di farsi sentire proprio nel mezzo della tempesta commerciale scatenata da Donald Trump. Naturalmente, da perfetto politico, evita di nominarlo direttamente, così come la parola “dazi”. Perché rischiare? Meglio parlare con frasi altisonanti sul protezionismo, quella policy da terzo mondo capace, secondo lui, di minare la concordia internazionale e – udite udite – favorire le guerre. Sembra quasi un film, ma no, è tutto vero: da qualche parte, tra una frontiera aperta e l’altra, le merci non viaggiano da sole, ma portano con sé la pace. Ironia della sorte, i dazi di Trump per Mattarella rimangono “un errore profondo”. E questa non è una novità: lo aveva già detto tre mesi fa e, proprio come un disco rotto, non ha cambiato idea.

Il nostro presidente è tornato ieri da una missione in Croazia – già visitata nel 2015 durante il primo mandato, perché evidentemente c’è poco altro di più interessante da fare. All’arrivo a Zagabria alle 11 in punto, è stato accolto con tutto il fasto possibile dal presidente croato Zoran Milanovic. Immersi nella malinconica atmosfera di Villa Zagorje, l’ex residenza di Tito – un bunker di cemento nascosto tra i boschi, dove per fortuna corrono liberi i cerbiatti, probabilmente gli unici felici di tutta la cerimonia. Con fanfare trionfali, inni nazionali e due presidenti che sfidano la pioggia camminando su metri di tappeti rossi, non poteva non scattarsi la classica foto di famiglia che certifica “l’ottimo stato” delle relazioni bilaterali, commerciali ed economiche tra Italia e quel Paese che, giusto per ricordare, festeggia il 12° anniversario dall’ingresso nell’Unione europea. Un evento praticamente da Nobel per la pace, a quanto pare.

Allora, cosa ci fa Mattarella in questo parco giochi politico? Ovviamente, il nostro Presidente torna a cantare le lodi di un’Europa sempre più unita, più larga e, perché no, più forte. E non si ferma qui: preoccupato, come tutti, da conflitti sanguinosi che si agitano alle porte del continente e da un mondo che sembra uscito da un vulcano di caos geopolitico, sciorina la solita filippica di buon senso e incita gli Stati membri a non schiantarsi come lerce pedine su una scacchiera globalizzata.

Mattarella sbotta:

“L’Europa ha più che mai bisogno del convinto contributo di tutti i suoi Stati membri per continuare a rafforzarsi e integrarsi, per poter affrontare da protagonista il mutato contesto geopolitico.”

Sì, certo. Era così facile prima, vero? Prima che Trump decidesse di fare il bullo con i suoi ammirevoli dazi, mettendo tutti in difficoltà. La realtà però è che il cosiddetto “contesto” è cambiato in fretta, anzi, a ritmo accelerato, proprio da quando il miliardario newyorkese è tornato a dettare legge a Washington. E qui si apre lo spettacolo del teatrino politico che, purtroppo o per fortuna, accompagna la nostra Unione Europea.

Ah, l’Unione Europea, quel gioiellino di pace e prosperità che, secondo Sergio Mattarella, ha miracolosamente mantenuto la sua “vocazione alla pace” per quasi ottant’anni dopo la Seconda guerra mondiale. Un modello di convivenza serena, dice lui, in un’epoca così “tragica” di guerre angosciose. Ma non preoccupatevi, perché questa Europa pacificata si trova ora al cuore di una gigantesca rete di relazioni commerciali aperte con tutto il mondo, il che – pensa un po’ – sarebbe un vero “veicolo di pace”. Sembra quasi che gli Stati Uniti non siano più così indispensabili per gli scambi commerciali dei 27 Paesi che compongono l’Unione, come qualcuno aveva ingenuamente pensato.

Ricordate a marzo, quando il nostro caro presidente parlava ai giovani agrari? Sì, proprio lui, Mattarella aveva lanciato quella perla: “i mercati aperti corrispondono a due interessi vitali, la pace e l’export”. Una frase che ha fatto sobbalzare Roma e Bruxelles, un invito molto delicato a rispondere “con calma e determinazione” alle impavide manovre protezioniste della Casa Bianca. Cosa potrebbe mai andare storto affidandosi alle magnifiche virtù del libero mercato globale?

Un tour diplomatico tra amiconi e divisioni secolari

Il presidente Mattarella ha poi fatto la sua comparsa tra la comunità italiana all’estero, incontrando il presidente del Parlamento Gordan Jandrokovic e il Primo Ministro Andrej Plenkovic. Con quest’ultimo ha concordato sulla necessità di rendere i processi decisionali dell’UE “più efficaci e tempestivi”. Come se gli ultimi decenni di lentezze burocratiche non fossero bastati. Poi, a braccetto, hanno discusso di Medio Oriente e Balcani Occidentali. Oh, che tema urgente! L’allargamento dell’Unione è infatti uno degli argomenti da cui Mattarella non si stanca mai. Ne ha parlato anche nel bilaterale (chissà quanto era entusiasmante) e a pranzo con Milanovic. Entrambi d’accordo sull’urgenza di terminare “senza indugi” questo spettacolo di abbracci a Est, iniziato… rullo di tamburi… oltre vent’anni fa.

Tra una chiacchiera e l’altra, non è mancato un tocco di dramma con l’immancabile Ucraina come protagonista. Per aggiungere pathos, il giorno dopo Mattarella riceverà al Quirinale il presidente Zelensky. Non si sa mai, un po’ di glamour diplomatico serve sempre a consegnare un’immagine robusta, anche se dietro le quinte le cose sono un po’ più complicate.

Dopo aver ricordato i “secoli di antagonismo” tra Italia e Croazia, il buon Mattarella si è detto “contento” di come, negli ultimi vent’anni, sia cresciuta la collaborazione e l’amicizia tra le due rive dell’Adriatico. Probabilmente un modo garbato per nascondere che, se la Croazia ha fatto richiesta d’incontro, forse spera di rafforzare la propria posizione a Bruxelles, dove il presidente italiano vanta rapporti solidi con i potenti dell’UE.

Curiosamente, il presidente Milanovic è socialdemocratico, ma gli avversari lo sbeffeggiano definendolo “il Trump croato”, per via delle sue critiche all’Europa, del suo poco entusiasmo per sostenere l’Ucraina e della simpatia per Mosca. Insomma, un personaggio che sembra uscito da un casting alternativo per leader populisti. A gennaio ha ottenuto un comodo 74% dei voti al secondo mandato, triplicando i consensi rispetto al suo sfidante Dragan Primorac, che tra l’altro era sostenuto dal partito conservatore del premier Plenkovic. Ma si sa, in politica le perdite si mascherano sempre con percentuali roboanti.

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