Davvero? Anche un cretino potrebbe fare un lavoro più decente di così

Davvero? Anche un cretino potrebbe fare un lavoro più decente di così
La Federal Reserve si prende una pausa, ma Trump non si trattiene: “Powell è uno stupido”

La Federal Reserve ha deciso mercoledì di lasciar correre i tassi d’interesse esattamente dov’erano, ignorando completamente l’implacabile, e a tratti poetico, insulto di Donald Trump che, durante la riunione della banca centrale, ha sentenziato che il presidente Jerome Powell è uno “stupido”. Nonostante questo show degno di un reality da quattro soldi, la Fed ha mantenuto l’intenzione di tagliare i tassi complessivamente di 50 punti base nel corso dell’anno, probabilmente con due riduzioni da un quarto di punto ciascuna. A dire il vero, però, il clima si fa nebuloso: sette membri su diciassette sembrano ormai convinti che, nel 2024, alcun allentamento arriverà – un bel passo indietro rispetto ai quattro tagli previsti a marzo. Altri due sono pronti a concedere solo una riduzione. Insomma, gli ottimisti si contano sulle dita di una mano, considerando anche che quelli che vedono due interventi sono scesi da nove a otto nel giro di pochi mesi.

La Fed non nasconde l’evidenza con un comunicato che suona come un ossimoro: “L’incertezza sulle prospettive economiche è diminuita ma resta elevata”. Come per dire, sì, abbiamo meno dubbi, ma comunque preferiamo farci trovare pronti a tutto. Le previsioni economiche sembrano il copione di una serie TV in crisi d’ispirazione: il PIL dovrebbe crescere solo dell’1,4% nel 2025, un bel rallentamento rispetto all’anno scorso e un deciso calo rispetto all’1,7% previsto in precedenza. Nel 2026 la speranza – grondante ottimismo prudente – è un’accelerazione all’1,6%. Il tasso di disoccupazione? Prepariamoci, salirà al 4,5%, e l’inflazione resterebbe intorno al 3%.“L’economia è in una posizione solida”, si affretta a dichiarare Powell, brandendo come torcia l’impegno della Fed a perseguire la stabilità dei prezzi e la massima occupazione, come se nulla fosse. Resta però la nota di colore dell’incertezza dovuta a “cambi nelle politiche commerciali e di bilancio”, come a dire che non si sa davvero che succederà. La politica monetaria è insomma “ben posizionata” per attendere e decidere soltanto dopo l’ennesimo giro di indovinelli.

Jerome Powell, evidentemente impermeabile alle frecciate del suo più noto critico, ha affrontato la tempesta di insulti con calma olimpica. Nel frattempo, Donald Trump si è lasciato andare a un’autocandidatura senza precedenti: “Posso nominarmi da solo alla Fed? Farei di sicuro un lavoro migliore”. Peccato che non si sia mai preoccupato di dire di averlo nominato lui stesso a capo della banca centrale. Poi si è lanciato in un attacco senza peli sulla lingua a Joe Biden per aver confermato Powell alla guida della Fed – “io non l’avrei mai fatto” –, dimenticando ironicamente di essere stato proprio lui a scegliere Powell. “Mi odia. Non è intelligente e sta facendo pagare cara questa scelta al paese. Dovremmo avere tassi più bassi di almeno 2,5 punti, così pagheremmo meno debito. In Europa hanno fatto dieci tagli, negli Stati Uniti ancora zero”, ha snocciolato il suo mantra. Per non farsi attendere troppo, ha promesso di nominare presto un successore — il mandato di Powell scade infatti nel maggio 2026. Tra i candidati più papabili spuntano i nomi di alcuni ex ufficiali del Tesoro e della Fed, ma per ora tutto resta nel regno delle ipotesi.

Nel frattempo, la Fed si ritrova a navigare in acque sempre più torbide fra dazi e tensioni geopolitiche in rapida escalation. È vero, per ora la crisi intorno ai dazi sembra momentaneamente rientrata, ma è solo un sospiro di sollievo temporaneo: la pausa dei 90 giorni concessa da Trump in aprile scade a luglio, e in assenza di accordi commerciali, le tariffe torneranno a livelli da far tremare i polsi. Questo potrebbe far riemergere il fantasma dell’inflazione, già alle prese con il rischio di una miccia accesa in Medio Oriente. La guerra tra Iran e Israele è un pericolo reale, e se finora gli attacchi hanno risparmiato le infrastrutture energetiche, lo scenario di un allargamento conflittuale con un nuovo picco del prezzo del petrolio resta una minaccia palpabile.

Le mosse della Fed, dunque, non si fermano a numeri e grafici in una stanza chiusa. Sono parte di uno scacchiere molto più vasto, dove politica, economia e potere si intrecciano in un balletto di incertezze che tiene col fiato sospeso i mercati, impazienti ma ben consapevoli che la vera partita – quella mediorientale – potrebbe ribaltare tutto nel giro di poche settimane.

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