Cronista Tgr Friuli Venezia Giulia picchiato: la tragica odissea di Maurizio Mervar che nessuno si aspettava

Cronista Tgr Friuli Venezia Giulia picchiato: la tragica odissea di Maurizio Mervar che nessuno si aspettava

È proprio il caso di dirlo: solidarity is dead, almeno quando si tratta di giornalisti e della loro incolumità. Rai ha espresso il suo sdegno per l’aggressione subita da Maurizio Mervar, cronista della Tgr Friuli Venezia Giulia. Un siparietto che, a quanto pare, offende il lavoro di centinaia di colleghi che, senza clamore e ben lontani dai riflettori, tengono vivo quel diritto all’informazione tanto decantato dal Servizio Pubblico. Che novità.

Uno sfoggio di ipocrisia, certo, ma anche la classica presa di posizione di facciata, perché difendere la libertà dei giornalisti dovrebbe essere la base di tutto. Tanto per non dimenticarlo, la deputata Dem Debora Serracchiani ci ricorda che la libertà e la sicurezza dei cronisti sono “presupposti inderogabili” per qualsiasi società che si dica civile. Magari fosse sempre così! Lei dice:

“La dialettica democratica non deve mai scadere nell’intolleranza, e lo scontro fisico dev’essere sempre condannato. Il passo dalla divergenza di opinioni alla violenza fisica è gravissimo e va evitato a ogni costo.”

Però, caro il nostro senno di poi, esisterà pure un buon motivo per cui assistiamo sempre più spesso a questi “passi gravissimi”, no? Ma tranquilli, nessuno è interessato a scavare oltre la superficie o a capire cosa alimenta questa crescente ostilità.

Nel frattempo, i membri di Fratelli d’Italia della Commissione di Vigilanza Rai, da bravi paladini della giustizia, si sono affrettati a esprimere la loro “solidarietà” al povero Mervar, vittima di insulti del calibro di “servo del sionismo”. È proprio un tocco di classe, vero?

Il loro commento, tutto sommato, suona come il solito refrain: un “episodio grave” che metterebbe in luce “un clima di odio sempre più diffuso” e che “colpisce chi assicura il diritto all’informazione”. Critici, ma solo a parole, mentre la società si disgrega e l’odio dilaga.

Non manca la solita retorica finalizzata a intonare il “racconto della verità” come arma segreta per combattere questa spirale di violenza, come se la verità fosse sempre la risposta definitiva a ogni tensione. Un discorso da scuola, senza alcuna presa di coscienza reale.

Nel frattempo, il sindacato dei giornalisti Rai-Unirai si unisce al coro di solidarietà, deplorando l’“accerchiamento” e gli insulti rivolti a Mervar. Quindi, cari lettori, sappiate che il giornalismo vive in un clima di tensione da brivido, in cui il “servo del sionismo” è solo l’ultimo degli insulti di cui dover far tesoro. L’episodio fortunatamente non ha lasciato conseguenze fisiche gravi, ma la sua gravità simbolica è tutta da documentare.

L’appello finale del sindacato? Fermare tutte le violenze contro “chi esercita il diritto-dovere di informare”, abbassare i toni e smetterla di fomentare l’odio. Come se solo con le parole si potesse davvero domare la bestia affamata di rancore che si aggira sulle nostre strade.

In sintesi: protestate pure, aggredite i giornalisti, ma state attenti, perché lì fuori c’è chi vi guarda storto e vi ricorda che il servizio pubblico dell’informazione è sacro e va protetto. Ma poi, quando parte l’insulto o lo schiaffo, tutti pronti a invocare “il rispetto della democrazia e della convivenza civile”. Un po’ come quei genitori che urlano ai figli di stare calmi dopo avergli appena dato una sberla.

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