Conte mette in riga il Pd: in Campania non esistono modelli da seguire, fine della favola

Conte mette in riga il Pd: in Campania non esistono modelli da seguire, fine della favola

Conte precisa con il suo solito garbo:

“Con tutto il rispetto, stiamo parlando di un singolo esponente del Pd. Non mi sembra quella sia la posizione ufficiale del Pd. Il Movimento 5 Stelle non fa scintille, per quanto ci riguarda, con il Pd.”

Ma la controreplica non tarda:

“Da Conte non sono arrivate nemmeno scuse di circostanza: ‘Ho autorizzato perché c’era un clima’. Ma che significa? È la solita danza di chi fa il doppio gioco, con tentennamenti sulla cittadinanza e un amore nostalgico per i decreti di Salvini. Ovviamente, confessa tutto solo quando ormai i giochi sono fatti e tutti sanno. E si permette pure di decidere chi è davvero il Pd e chi no. Il classico comportamento di chi mette gli interessi personali davanti alla responsabilità di governo, quella che non ha mai avuto, che non ha e che, senza dubbio, non avrà mai più.”

Insomma, un quadretto di convivenza tra “alleati” che è tutto fuorché tranquillo. Ma niente paura, il potere è un collante così forte che tiene tutto insieme, o almeno ci prova. In attesa del prossimo capitolo di questa saga politica che sembra infinita.

Conte è stato lapidario sul tema: «Vedo che il governo la mattina…» – e qui, guarda un po’, decide di interrompersi lasciando i commenti a mezz’aria, forse per non svelare troppo con chi realmente ha a che fare questa complicata partita politica.

Ah, la politica italiana: un teatro d’opera dove le maschere cambiano espressione ogni sera. Da una parte si dice una cosa, dall’altra l’opposto, e nel mezzo c’è un’accesa litigata degna dei migliori drammi greci. Ora, queste anime belle si trovano costrette a tenere insieme una maggioranza saldata dal potere, quel collante infallibile, cercando di capire qual è la “soluzione migliore”. Eh sì, speriamo davvero che la risposta arrivi prima di un’altra litigata da manuale.

Intanto, il principio sacro – e finora non negoziabile – era fissato: due mandati e non uno di più, per evitare incrostazioni (leggi: fini carriera politica a vita) e garantire un minimo di ricambio. Ma, oh miracolo, adesso il limite ai mandati interni al movimento è caduto. Altrimenti, buon Roberto Fico – sì, proprio lui – non potrebbe nemmeno sperare di mettersi in pole position. Peccato che un certo De Luca abbia già messo un veto implacabile sul suo nome. Così, il buon vecchio Conte rabbrividisce e si sforza di cambiare discorso:

Conte dice:

“Noi puntiamo in Campania a dare risposte concrete ai cittadini, a una comunità che vive le giornate, l’orizzonte, il futuro anche con grandissima difficoltà, con grandissimo disorientamento. C’è tanto disagio anche sociale, fasce di popolazione in grande sofferenza, la sanità richiede lungimiranza, investimenti, richiede veramente che sia fatto il bene comune a favore dei cittadini e siano prestati servizi e che siano garantiti a tutti in modo efficiente e noi siamo qui per questo.”

Quindi – ci tiene a chiarire – hanno un “progetto politico” e sono in prima linea, ovviamente. Ma se gli si chiede di sbilanciarsi sui candidati, beh, non è certo lì per fare la margherita tra chi e chi. Perché, a quanto pare, la scelta del candidato giusto deve venir fuori da un progetto serio e da un concertato dialogo con i territori, non certo da qualche stanza segreta a Roma dove si fanno le magie politiche più storte. Su questo punto – cosa incredibile – sembra quasi d’accordo con De Luca. O forse è il contrario, chi può dirlo?

Nel frattempo, dalla sua Capri, il candidato predestinato Fico scandisce il suo verdetto sul terzo mandato: niente, mai e poi mai. Ma, con una chiarezza rara, parla anche di coalizione progressista e di alleanze strategiche nelle regioni al voto, un misterioso “nuovo protagonismo” nella società civile che, a suo dire, dovrebbe portare a una “vittoria schiacciante”. Una favola da raccontare agli elettori tra un caffè e un aperitivo.

Insomma, il matrimonio tra Pd e Movimento 5 Stelle non è altro che un cantiere perpetuo, con due partiti che spesso sembrano sul fronte opposto del ring. L’ultimo scontro non è mica una novità. L’ex premier ha recentemente raccontato che nel 2019, su richiesta – udite udite – dei servizi segreti e autorizzata dalla Procura generale della Corte d’appello, era stato impiegato uno strumento di intercettazione contro certi attivisti. Circostanza che ha fatto gridare allo scandalo l’illustre vicepresidente del Parlamento europeo, definendola “un abisso di indecenza”.

I giochi diventano incandescenti anche a livello europeo? Macché.

Conte precisa con il suo solito garbo:

“Con tutto il rispetto, stiamo parlando di un singolo esponente del Pd. Non mi sembra quella sia la posizione ufficiale del Pd. Il Movimento 5 Stelle non fa scintille, per quanto ci riguarda, con il Pd.”

Ma la controreplica non tarda:

“Da Conte non sono arrivate nemmeno scuse di circostanza: ‘Ho autorizzato perché c’era un clima’. Ma che significa? È la solita danza di chi fa il doppio gioco, con tentennamenti sulla cittadinanza e un amore nostalgico per i decreti di Salvini. Ovviamente, confessa tutto solo quando ormai i giochi sono fatti e tutti sanno. E si permette pure di decidere chi è davvero il Pd e chi no. Il classico comportamento di chi mette gli interessi personali davanti alla responsabilità di governo, quella che non ha mai avuto, che non ha e che, senza dubbio, non avrà mai più.”

Insomma, un quadretto di convivenza tra “alleati” che è tutto fuorché tranquillo. Ma niente paura, il potere è un collante così forte che tiene tutto insieme, o almeno ci prova. In attesa del prossimo capitolo di questa saga politica che sembra infinita.

Giuseppe Conte cerca disperatamente di evitare l’argomento delle Regionali in Campania, come se fosse un campo minato pieno di insidie. Secondo lui è «sbagliato parlare di modello Napoli», e scansa come può la prospettiva di un campo largo o progressista, ricordandoci che «in Campania ci sono troppe variabili». Parla con la prudenza di chi teme di pestare una mina politica.

Quando si tratta di Napoli, evoca un sindaco che lui stima, lasciando chiaramente intendere che i pentastellati vogliono apparire come protagonisti di un «progetto utile ai cittadini». Nel frattempo, però, mantiene quel criptico insistente: «le variabili sono diverse», come a voler dire «attenzione Pd, qui la situazione non è così lineare come vorreste far credere».

Ma quali sono i mostri di questa giungla campana? Al primo posto c’è lui, il grande e invincibile: Vincenzo De Luca. La sua ombra si allunga su tutta la regione, tanto che si vocifera di misteriosi “contatti diretti e indiretti” tra De Luca e Conte. Una strana alleanza che ha trasformato i grillini in silenziosi ammiratori del governatore, nonostante un decennio da oppositori accesi.

Perché, ovviamente, considerare De Luca un «problema» per il Pd è un eufemismo, e rischiare una rottura sarebbe come lanciare una bomba contro il tanto declamato campo largo – che in realtà, ammettono tutti, piace a nessuno. Ma la vera bomba da disinnescare è quella del «terzo mandato» di De Luca, una vicenda che sembrava archiviata e invece torna prepotentemente alla ribalta grazie a Fratelli d’Italia, il partito che si è dedicato con zelo a contestare la norma.

Ironia della sorte, gli unici contrari al terzo mandato oggi sono proprio gli alleati di centrodestra di Forza Italia, mentre il governo cerca di schivare la polvere da sparo politica pronta ad esplodere. Se si trova un accordo nella maggioranza, probabilmente lo vedremo già la settimana prossima. Ormai si parla anche di spostare le elezioni a marzo, perché risolvere l’enigma campano entro i tempi previsti sembra un’impresa da missione impossibile.

Conte è stato lapidario sul tema: «Vedo che il governo la mattina…» – e qui, guarda un po’, decide di interrompersi lasciando i commenti a mezz’aria, forse per non svelare troppo con chi realmente ha a che fare questa complicata partita politica.

Ah, la politica italiana: un teatro d’opera dove le maschere cambiano espressione ogni sera. Da una parte si dice una cosa, dall’altra l’opposto, e nel mezzo c’è un’accesa litigata degna dei migliori drammi greci. Ora, queste anime belle si trovano costrette a tenere insieme una maggioranza saldata dal potere, quel collante infallibile, cercando di capire qual è la “soluzione migliore”. Eh sì, speriamo davvero che la risposta arrivi prima di un’altra litigata da manuale.

Intanto, il principio sacro – e finora non negoziabile – era fissato: due mandati e non uno di più, per evitare incrostazioni (leggi: fini carriera politica a vita) e garantire un minimo di ricambio. Ma, oh miracolo, adesso il limite ai mandati interni al movimento è caduto. Altrimenti, buon Roberto Fico – sì, proprio lui – non potrebbe nemmeno sperare di mettersi in pole position. Peccato che un certo De Luca abbia già messo un veto implacabile sul suo nome. Così, il buon vecchio Conte rabbrividisce e si sforza di cambiare discorso:

Conte dice:

“Noi puntiamo in Campania a dare risposte concrete ai cittadini, a una comunità che vive le giornate, l’orizzonte, il futuro anche con grandissima difficoltà, con grandissimo disorientamento. C’è tanto disagio anche sociale, fasce di popolazione in grande sofferenza, la sanità richiede lungimiranza, investimenti, richiede veramente che sia fatto il bene comune a favore dei cittadini e siano prestati servizi e che siano garantiti a tutti in modo efficiente e noi siamo qui per questo.”

Quindi – ci tiene a chiarire – hanno un “progetto politico” e sono in prima linea, ovviamente. Ma se gli si chiede di sbilanciarsi sui candidati, beh, non è certo lì per fare la margherita tra chi e chi. Perché, a quanto pare, la scelta del candidato giusto deve venir fuori da un progetto serio e da un concertato dialogo con i territori, non certo da qualche stanza segreta a Roma dove si fanno le magie politiche più storte. Su questo punto – cosa incredibile – sembra quasi d’accordo con De Luca. O forse è il contrario, chi può dirlo?

Nel frattempo, dalla sua Capri, il candidato predestinato Fico scandisce il suo verdetto sul terzo mandato: niente, mai e poi mai. Ma, con una chiarezza rara, parla anche di coalizione progressista e di alleanze strategiche nelle regioni al voto, un misterioso “nuovo protagonismo” nella società civile che, a suo dire, dovrebbe portare a una “vittoria schiacciante”. Una favola da raccontare agli elettori tra un caffè e un aperitivo.

Insomma, il matrimonio tra Pd e Movimento 5 Stelle non è altro che un cantiere perpetuo, con due partiti che spesso sembrano sul fronte opposto del ring. L’ultimo scontro non è mica una novità. L’ex premier ha recentemente raccontato che nel 2019, su richiesta – udite udite – dei servizi segreti e autorizzata dalla Procura generale della Corte d’appello, era stato impiegato uno strumento di intercettazione contro certi attivisti. Circostanza che ha fatto gridare allo scandalo l’illustre vicepresidente del Parlamento europeo, definendola “un abisso di indecenza”.

I giochi diventano incandescenti anche a livello europeo? Macché.

Conte precisa con il suo solito garbo:

“Con tutto il rispetto, stiamo parlando di un singolo esponente del Pd. Non mi sembra quella sia la posizione ufficiale del Pd. Il Movimento 5 Stelle non fa scintille, per quanto ci riguarda, con il Pd.”

Ma la controreplica non tarda:

“Da Conte non sono arrivate nemmeno scuse di circostanza: ‘Ho autorizzato perché c’era un clima’. Ma che significa? È la solita danza di chi fa il doppio gioco, con tentennamenti sulla cittadinanza e un amore nostalgico per i decreti di Salvini. Ovviamente, confessa tutto solo quando ormai i giochi sono fatti e tutti sanno. E si permette pure di decidere chi è davvero il Pd e chi no. Il classico comportamento di chi mette gli interessi personali davanti alla responsabilità di governo, quella che non ha mai avuto, che non ha e che, senza dubbio, non avrà mai più.”

Insomma, un quadretto di convivenza tra “alleati” che è tutto fuorché tranquillo. Ma niente paura, il potere è un collante così forte che tiene tutto insieme, o almeno ci prova. In attesa del prossimo capitolo di questa saga politica che sembra infinita.

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