Colloqui Ucraina-Russia: Trump si propone come salvatore, ma chi lo ascolta?

Colloqui Ucraina-Russia: Trump si propone come salvatore, ma chi lo ascolta?

Le delegazioni di Mosca e Kiev si sono finalmente radunate a Istanbul: un’accozzaglia di insulti e accuse, ma oggi, finalmente, si apre il vertice. Una sorta di gioco delle parti in cui tutti sembrano sapere che non si farà un bel niente, ma il copione deve andare in scena lo stesso.

DAL NOSTRO INVIATO A ISTANBUL – Non stiamo parlando di quelle due sedie dentro San Pietro usate da Trump e Zelensky, oh no. Queste che hanno preparato fin dal mattino nel palazzo presidenziale di Dolmabahce sono una ventina messe in modo impeccabile. E indovinate un po’? Non ne è stata tolta nemmeno una. Qui non si scherza con il protocollo: il sultano Recep Tayyip Erdogan ha scelto solo le migliori, imbottite e rivestite di seta, stirate come se dovessero affrontare una passerella.

Allineate lungo un tavolo coperto da una tovaglia immacolata, con i microfoni pronti a catturare ogni singola parola e le bandiere ucraine e russe a fare bella mostra di sé. Mica come quelle sedie in alluminio anodizzato messe lì in fretta e furia da un pretino durante i funerali di Bergoglio – un tocco di classe decisamente assente.

Tuttavia, non fatevi illusioni: queste non saranno mai sedie da numeri uno, e di certo non ci si siederanno né Zelensky, né Trump, tantomeno Putin. Ci saranno solo ministri, viceministri e capi dei servizi segreti. In questo palazzo dove morì Ataturk, e dove la speranza sembra vivere di vita propria, la pace deve ancora aspettare. Solo i turchi sembrano avere dei seri motivi per essere ottimisti: “C’è una finestra d’opportunità”, esulta Hakan Fidan, il ministro degli Esteri di Erdogan, sperando che questi colloqui possano aprire un capitolo nuovo.

Ma non tutti sembrano così speranzosi. “Non ho grandi aspettative”, taglia corto il segretario di Stato americano Marco Rubio, parcheggiato ad Antalya a ripetere le parole del suo presidente: “Non penso che ci sarà una svolta”, sentenzia Trump, “finché io e Putin non ci siederemo a un tavolo” – come se questa fosse la scoperta dell’acqua calda. “Putin non ha alcuna intenzione di andare a Istanbul”, afferma con decisione il portavoce russo Dimitry Peskov, dimostrando che la gita turistica non è nei piani di nessuno altro che non siano i mediatori.

E non ci resta che ascoltare Zelensky, che ammette candidamente: “Possiamo parlare al massimo di un cessate il fuoco, non di pace”. Certo, perché è sempre così divertente organizzare un summit per parlare di tregue e “fumate grigie” – che, se non sono bianche, sono comunque meglio che niente.

Da oggi ci provano. Dopo tre anni di conflitti come questi, chi ci crede più? Ma è comunque un’opera di teatro che merita di essere vista, con tutti i suoi protagonisti pronti a recitare il loro copione, senza preoccuparsi troppo della storia vera.

La prima volta che si vedono, giungono a Dolmabahce al calar della sera, mentre i duecento giornalisti stanno smontando le loro attrezzature dopo dodici ore di attesa. Le delegazioni entrano nel palazzo dei sultani, lo stesso teatro dei colloqui falliti di marzo 2022, ma quasi furtivamente, come chi ha più di un torto sulla coscienza. Non c’è accordo nemmeno sull’orario: «Cominciamo subito», propone Zelensky; «cominciamo venerdì mattina», precisa lapidaria la Tass. Nessuna foto da incorniciare, nessuna stretta di mano. La conferenza è un vertice di assenti, dove gli sguardi si incrociano piccoli e diffidenti. Il presidente ucraino è sistemato ad Ankara, mentre Erdogan lo riceve tra picchetti d’onore, a 400 km di distanza: parla molto, forse sperando che Trump faccia capolino per ravvivare l’atmosfera.

Nel frattempo, il leader russo è comodamente sistemato al Cremlino, a 3.200 km di distanza, in silenzio, forse nell’attesa di avanzare ulteriormente lungo i mille km del fronte. Gli sherpa, nel frattempo, tergiversano sul Bosforo per tutto il giovedì: i russi restano nel consolato, gli ucraini in albergo, mentre gli americani e i turchi sono in attesa. Una situazione da teatro dell’assurdo, ma chi se ne importa?

Le offese viaggiano in distanza: «Più che una squadra negoziale, quella di Mosca è una farsa», afferma Zelensky, notando che lui si è presentato in Turchia con i suoi ministri degli Esteri e della Difesa, Andry Sibiiha e Rustem Umerov, accompagnato dal super-consigliere Andry Yermak, mentre Putin ha inviato solo il ghostwriter Vladimir Medinsky, ex ministro della Cultura, assortito a un paio di viceministri «di basso rango». Da Mosca gli rispondono: «Zelensky è soltanto un clown ignorante». E ancora: «Io sono ad Ankara e i miei sono a Istanbul — ribatte il presidente in grigioverde —, Putin non è né ad Ankara, né a Istanbul». A far risaltare il disagio c’è una sedia vuota di fronte agli ucraini, e il ministro francese Jean-Noel Barrot lo nota: lo zar è convinto di avere buoni argomenti per giustificare quel vuoto, dopo aver lanciato lui l’idea dei colloqui in territorio turco. «La nostra diplomazia si prepara a lungo prima di accettare che i leader si vedano — spiega un ex ambasciatore russo — e solo dopo accetta che i leader si incontrino. Comunque, Putin non considera Zelensky un interlocutore: lo è solo se s’arrende.

Il punto di partenza non è dove ci si era lasciati, ma in un punto molto più basso: la famosa bozza di tregua del 29 marzo ’22 è già carta straccia. La trattativa si concentra ora solo su trenta giorni di cessate il fuoco. Ma le posizioni rimangono quasi identiche a quelle all’inizio della guerra. Mentre l’UE si prepara a nuove e pesanti sanzioni contro Mosca, i turchi si troveranno a mediare su ben poco: Mosca pretende i territori conquistati, un quinto dell’Ucraina e la Crimea, oltre alla rimozione di Zelensky e alla totale neutralità militare dell’Ucraina; Kiev rivuole ogni territorio invaso, forse è disposta a negoziare su questioni riguardanti i crimeani, ma nulla senza il supporto della NATO e un ingresso nell’UE. «Siamo pronti a discutere», afferma Medinsky con un tono di falsa euforia, «siamo predisposti a possibili compromessi». «L’hanno detto mille volte», commenta un analista ucraino, Ivan Stupak: «In realtà vogliono prolungare la guerra finché possono, prendendo tempo con questi colloqui». Secondo fonti diplomatiche di Ankara, gli argomenti all’ordine del giorno comprendono «negoziati trilaterali tra Stati Uniti, Ucraina e Turchia» e tra «Russia, Ucraina e Turchia»; «Non è affatto certo che l’incontro avverrà nel formato a quattro». Iniziano le dieci: sedetevi su quelle sedie, ora tocca a voi.

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