Cittadinanza: un’infarinatura tra Europa e Stati Uniti che fa ridere i polli

Cittadinanza: un’infarinatura tra Europa e Stati Uniti che fa ridere i polli

Negli USA, si è deciso che chi nasce lì è automaticamente americano, un elegante esempio di come la logica possa danzare con il concetto di nazionalità. In Europa, invece, la questione diventa un intricato labirinto di regole e distinguo. Dalla permissività quasi sfacciata di Spagna e Svezia, alle regole forcaiole di Polonia, Ungheria e Slovacchia, tutti sembrano avere qualcosa da dire su chi può diventare cittadino e chi no. Così, mentre negli USA l’accoglienza è un sogno, in Europa è un buffet della diversità: scegliete quella che fa per voi.

In Europa, le regole per ottenere la cittadinanza variano, come il tempo in Irlanda: basta che uno dei genitori abiti legalmente lì da tre anni. Praticamente una fiera della burocrazia! Stessi tre anni valgono per la Grecia. In Portogallo, invece, bastano solo due anni di residenza di almeno un genitore, quasi a dire: “Chi ha fretta, e chi non ha voglia di complicarsi la vita?”

Passando al caso spagnolo, le cose si fanno più interessanti. Un bambino nato in Spagna ottiene la cittadinanza semplicemente risiedendo legalmente nel Paese per un anno. È come passare dal fast food alla ristorazione gourmet: tanta scelta, ma chi ha voglia di attendere dieci anni per la naturalizzazione? Ah, ma per i rifugiati, il tempo si accorcia a cinque anni, e per i fortunati provenienti da determinati Paesi, come quelli ispano-americani, bastano solo due. Non è affascinante come la burocrazia possa trasformarsi in un gioco di società?

In Francia, Lussemburgo, Paesi Bassi e Spagna, abbiamo il famigerato “doppio ius soli”, ma non è un affare da tutti. Se uno dei genitori è nato in Francia, il gioco è fatto. Un bambino straniero può diventare cittadino a 18 anni, a patto che abbia vissuto nel Paese per cinque anni partendo dagli 11, oppure, se siamo davvero fortunati, può ottenerla a 13 anni se è residente in Francia da otto. Non è bellissimo? Quasi che la nazionalità potesse essere venduta a pacchetti!

Anche nei Paesi Bassi, il bambino straniero può acquisire la cittadinanza a 18 anni, a condizione che abbia vissuto lì per cinque anni e possieda un permesso di soggiorno. Facile, no? O, come direbbe qualcun altro, se hai la fortuna di essere nato da un genitore residente stabilmente, la vita diventa un tulipano che sboccia. E in Belgio, il gioco continua: chi nasce sul suolo nazionale e ha vissuto nel Paese per almeno tre anni all’età di 18 anni? Congratulazioni, sei un belga!

Ah, la gestione della cittadinanza in Europa: un puzzle così intrigante che potrebbe facilmente diventare il tema di un gioco da tavolo, se solo non fosse una faccenda così tragicamente seria. In Belgio, i fortunati che hanno genitori residenti nel paese da un decennio possono festeggiare la loro cittadinanza già a dodici anni. Che bel modo di riconoscere i bambini sul colpo, un vero e proprio ‘benvenuto’ ai più giovani!

Passiamo a Ungheria e Polonia, dove le regole sembrano scritte in un linguaggio esoterico destinato solo a pochi eletti. Qui la cittadinanza si basa sulla nobile tradizione dello «ius sanguinis», dando il benservito a chi non ha ‘sangue’ locale. In Polonia, per esempio, se non sei nato da genitori polacchi, povero te, perché non puoi neanche sperare in uno ‘ius soli’ che ti salvi.

La naturalizzazione in Polonia richiede un legame affettivo con il paese e la lingua polacca, che solo circa cinque milioni di persone parlano. Un’affermazione che sembra dire: “Se non parli la lingua, chiama un taxi, non ci vuole qui.” Oh, e non dimentichiamo gli otto anni di attesa per diventare cittadini in Ungheria, se sei tra i discendenti di cittadini ungheresi. Ma attenzione! Devi superare test linguistici e soppesare il tuo potere economico. Chi recita la Costituzione a memoria avrà la preferenza: un vero spettacolo teatrale, a quanto pare!

La difficoltà di ottenere la cittadinanza in Europa aumenta man mano che ci si sposta verso Est. È quasi comico, considerando che sono proprio i paesi dell’Est a mostrarsi più ostinati nella gestione degli stranieri. E Slovacchia, sei tu il campione di questa resistenza! La tua lingua, parlata da un pubblico ristrettissimo, deve essere padroneggiata a menadito per ottenere l’ambita cittadinanza. Complimenti per la strategia di esclusione, davvero.

Dall’altra parte dell’Europa troviamo Svezia, che ti accoglie a braccia aperte e un bel sorriso, mettendoti a disposizione la possibilità di diventare cittadino dopo cinque anni di residenza. Non esami di lingua o storia, solo un cuore disponibile a integrarsi. Anche gli ex-cattivi possono avere una seconda chance. Niente male, vero?

In Francia, la musica cambia leggermente. Cinque anni di residenza, documentazione di un lavoro (chissà come mai) e un esame di francese per dimostrare che sai differenziare “bonjour” da “au revoir”. Se ti ritrovi a combinare guai per terrorismo o a scontare una pena di sei mesi di carcere, il tuo sogno di cittadinanza è destinato a svanire come neve al sole. Delizioso!

Fino al 2024, i cittadini tedeschi dovranno attendere otto anni per afferrare l’ambito passaporto; ora ci siamo ‘moderati’ a cinque. Magari un giorno questi requisiti diventeranno una farsa da palcoscenico. Certamente, la Germania non scherza: condanne penali di qualsiasi entità e il sogno di diventare un galantuomo tedesco possono finire nel dimenticatoio.

In Austria, sei è il numero magico. Sei anni di residenza, con un reddito sufficiente negli ultimi sei mesi. Se hai un’accusa penale in corso, benvenuto! Ma, sfortunatamente, non sarai candidato alle ‘cittadini illustri’ austriaci. La severità è l’ordine del giorno!

Negli Stati Uniti, il loosey-goosey dello ‘ius soli’ vuol dire che se nasci lì, ti ritrovi con la cittadinanza. Un bel vantaggio, dirai tu. Ma non illuderti: se vuoi ottenere la cittadinanza attraverso la naturalizzazione, dovrai affrontare una corsa ad ostacoli che include anni di residenza, esami di lingua e di cultura americana. “Buon carattere” è il tocco finale di questa meravigliosa farsa.

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