Promuovere la cultura degli stili di vita decenti, insistere sull’importanza degli screening per convincere qualcuno a partecipare, e spargere per bene l’allarme sulla salute, in una regia a 360 gradi degna di un film drammatico. Questa la missione epica del triennale accordo firmato tra la Regione Campania, l’ospedale specialistico Istituto nazionale tumori Irccs Fondazione Pascale, la gloriosa Associazione italiana di oncologia medica (Aiom) e la sua brillante fondazione. Il tutto destinato a scuotere le fondamenta delle carceri campane, con un progetto che – tenetevi forte – è il primo sul territorio nazionale a unire i capitali della scienza oncologica e l’amministrazione penitenziaria.
In programma conferenze e “eventi informativi” per i prigionieri – perché evidentemente chi c’ha bisogno di sapere come funziona il carcinoma ha tempo anche dietro le sbarre – insieme a corsi di formazione (chissà per chi) e progetti di ricerca che faranno tanto rumore, sicuramente più di un’eco nelle celle imprigionate. Tutto presentato nella Capitale dei pizzaioli: Napoli.
Francesco Perrone, presidente nazionale di quel magico club chiamato Aiom, ci illumina sull’ovvio:
“I detenuti sono una categoria fragile anche per la salute. Sono uomini e donne esposti al rischio cancro. L’incapacità di libertà fa male al corpo e all’anima. Senza dimenticare che spesso incoraggia vizietti come fumo, alcol, mangiate scellerate e uno stile di vita da divano. Più del 70% dei maschi in carcere fuma semmai, mentre la metà vorrebbe smettere. Il 40% è immobile come una statua, e solo il 13% segue la dieta salutare da cinque porzioni di frutta e verdura al giorno. E già nella gens comune gli screening oncologici sono spesso ignorati. Esami come mammografia e test per l’HPV dovrebbero essere garantiti anche a loro, ma tra scartoffie e disorganizzazione non sempre succede. Il nostro progetto mira a un faro su questo dimenticato settore di prevenzione oncologica.”
E per rendere il quadro ancora più roseo, Maurizio di Mauro, direttore generale dell’Irccs Pascale e coordinatore regionale della Federazione italiana delle aziende sanitarie e ospedaliere (Fiaso), ci ricorda un’assurdità ormai nota:
“Quasi la metà dei decessi per tumore in Italia potrebbe essere evitata cambiando i fattori di rischio più noti. Il cancro va combattuto anche dietro le sbarre. Perché la Costituzione non solo impone di rispettare la dignità umana e la rieducazione di chi sbaglia, ma garantisce anche il diritto alla salute. Peccato che nelle carceri italiane il sovraffollamento è la norma, gli edifici cadono a pezzi, il personale è insufficiente e la situazione è a dir poco critica.”
Un quadro che fa venire voglia di organizzare una festa per la salute nelle prigioni, magari con torta e fumo di cancelleria. Ma al di là della retorica, queste belle intenzioni nascondono un problema vecchio come il mondo: la disparità tra ciò che si promette e ciò che realmente si realizza, una danza infinita tra strategie, protocolli e amministrazioni che fanno finta di agire mentre il tempo passa e la prevenzione resta un sogno irraggiungibile dietro le mura di cemento.
Prevenzione oncologica tra sbarre e burocrazia
Le iniziative previste non sono solo conferenze con slide bellissime, ma un tentativo di alfabetizzazione sanitaria che, parole alla mano, dovrebbe aiutare a smascherare i pericoli seriamente sottovalutati nella popolazione carceraria. Eh sì, perché mentre chi sta fuori può scegliere di ignorare gli avvisi medici, chi è rinchiuso non ha neppure quell’illusione di libertà. Nonostante ciò, l’accesso a programmi di controllo e screening resta un miraggio, ostacolato da mille intoppi organizzativi e burocratici che fanno sembrare il labirinto di Dedalo una passeggiata.
Spesso questa disparità nasce da una contraddizione istituzionale: da una parte abbiamo la Costituzione che tutela il diritto alla salute di ogni cittadino, anche se rinchiuso in carcere; dall’altra, un sistema penitenziario che non riesce nemmeno a garantire condizioni igieniche decenti, figurarsi programmi sanitari strutturati e continui. Eppure nessuno sembra indignarsi abbastanza, e le firme sui documenti restano più uno spot che una vera svolta.
Non possiamo nemmeno dimenticare le tematiche psicologiche che spesso aggravano il quadro sanitario: la privazione della libertà genera stress, depressione e comportamenti autolesionistici che facilitano l’insorgenza delle malattie oncologiche o l’aggravamento di quelle già presenti. Parlare di fumo e cattive abitudini è facile, ma attuare misure concrete e continuative rimane un’impresa titanica per un sistema che ogni giorno sembra correre per rimanere fermo.
La solita ricetta: buoni propositi e poca sostanza
Alla fine, ciò che resta è un elenco di belle intenzioni e progetti dal sonoro istituzionale. Non si vede all’orizzonte alcuna rivoluzione vera, ma piuttosto un altro protocollo da apporre agli scaffali delle promesse eterne. Mentre si brinda alla firma dell’accordo, dietro le mura continuano a regnare sovraffollamento, carenza di personale, precarie condizioni igienico-sanitarie e quel senso di abbandono che fa male anche più del cancro.
Chissà se questa alleanza tra scienza medica e amministrazione penitenziaria riuscirà a trasformare in fatti concreti le chiacchiere da conferenza stampa o se resterà solo uno squillo di tromba in una sala vuota, destinato a svanire tra dimenticanze e oblio.
Perché, diciamocelo, non basta la firma di un documento per cambiare la realtà di una popolazione così vulnerabile e dimenticata. Servirebbero decisioni coraggiose, investimenti corposi e una vera volontà politica, non solo parole tra le righe di un comunicato ufficiale. Ma forse questo sarebbe chiedere troppo a un sistema che, in fondo, preferisce continuare a navigare a vista, tra contraddizioni e silenzi.
Il scarno lavoro di creare un “modello” che funzioni non è mica roba da ridere: serve una stretta collaborazione tra le istituzioni locali sanitarie e quell’infida amministrazione penitenziaria. Insomma, un’intesa da enne riunioni e altra burocrazia, ma necessaria per far sì che anche i reietti del sistema godano di cure adeguate.
E visto che il cancro è la star delle emergenze di salute pubblica in Italia e non solo, trattarlo nelle carceri è diventata una priorità. Ma, attenzione, non fatevi ingannare: servono oncologi veri e specializzati. Perché non bastano medici con la siringa, ci vuole scienza e competenza, roba di alta scuola.
Giuseppe Nese, che fa anche il coordinatore responsabile del Laboratorio Eleonora Amato, la sintetizza bene: si tratta di “una necessità assoluta” avere alleati medici specialisti per affrontare questa piaga anche dietro le sbarre. Dopotutto, lo dice la legge, no?
E, ovviamente, un progetto così non poteva rimanere orfano di supporto scientifico. Ed eccoli arrivare in pompa magna gli oncologi dell’AIOM, pronti a dispensare consulenze e a mettere sul tavolo il loro sapere. E il mitico Istituto Tumori Pascale, diretto da Alfredo Budillon, si prepara a inviare il suo personale direttamente nelle carceri campane.
Obiettivo? Semplice: sensibilizzare i detenuti, che, per motivi che ovviamente non vi sto a spiegare, non sono proprio facilissimi da gestire dal punto di vista sanitario. Quindi, vogliamo parlare di formazione per i professionisti? Assolutamente sì. Non è tanto fare, ma far bene e nel modo giusto.
Alfredo Budillon spiega senza giri di parole: l’Istituto Pascale non si limita a curare e fare ricerca sul cancro, no. Ha anche una “quarta missione” – che suona come un mistero, ma non lo è – cioè educare la popolazione circa i rischi di malattie così diffuse e minacciose.
Formare per prevenire, insomma. Una divulgazione medico-scientifica che deve arrivare ovunque, proprio ovunque, pensionati o detenuti poco importa, anche a chi ha meno strumenti culturali per difendersi. Dietro le sbarre o meno, la salute è un diritto e la comunicazione corretta, quella vera, deve diventare prassi quotidiana.
E volendo tirare la morale, non si può non notare la sublime utopia: un carcere che diventa scuola di salute pubblica grazie a un’istituzione che abbraccia cura, assistenza, ricerca e comunicazione. Sembra quasi che negli angoli più oscuri della società si stiano scrivendo pagine di civiltà, tra un controllo e l’altro.



