Campania, il Pd scommette su Fico mentre De Luca organizza la risposta

Campania, il Pd scommette su Fico mentre De Luca organizza la risposta

Il giorno dopo la sentenza della Consulta che ha messo definitivamente fine all’era del Deluchiano, il governatore si presenta vigoroso, ma con qualche segnale di nervosismo. Gesticola riguardo all’“alta, anzi altissima Corte” e snocciola una lista di 21 iniziative programmate per i prossimi due mesi. Ma questa apparente sicurezza nasconde una realtà: per domani mattina, ha convocato i capigruppo della sua maggioranza. Evidentemente è alla ricerca di qualche alleato fidato, visto il generale “fuggi fuggi”. Un gesto che sa tanto di avvertimento per chi si trova nel ambito del campo largo.

Le chiacchiere su una sua potenziale candidatura al Consiglio regionale, come capolista della sua civica, circolano nel palazzo di Santa Lucia da tempo. Così come l’idea di chiedere assessorati di rilievo, in particolare quello alla Sanità. Tuttavia, il governatore, che si è sempre autodefinito come un “liberal-gobettiano” piuttosto che comunista, non sarà facile da “abbattere”.

Primarie? NO, Grazie.

In serata, emerge un curioso incidente diplomatico: fonti vicine a De Luca fanno trapelare l’intenzione di richiedere primarie di coalizione. Ma l’idea viene spazzata via sin da subito. Quando il dem Igor Taruffi viene interpellato, risponde in modo secco: “Primarie? Direi proprio di no. Ci sarà sicuramente una discussione approfondita con tutta la coalizione”. Un’empatia politica che sembra vacillare, alla ricerca di una complicità che nessuno vuole concretizzare.

Il Nazareno e il Destino di De Luca

Lunedì a Napoli, il responsabile dell’organizzazione del PD, Taruffi, insieme al responsabile degli enti locali Davide Baruffi, si incontreranno con i segretari e gli eletti dem. Ma che strano! Si parla già di archiviare il caso De Luca, anche senza attendere i risultati del processo. Ora, infatti, il mantra sembra essere: “vincere le elezioni regionali e rafforzare il Partito Democratico”. Ma la domanda è: con o senza De Luca?

Il gioco è chiaro: si ascoltano tutti, ma non ci si siede al tavolo con nessuno, nemmeno con un governatore che, pur avendo ricoperto l’incarico fino ad oggi, non potrà “porre veti su nomi o pensare di decidere”. Che modo curioso di “rafforzare” e mantenere il controllo, non è vero? E il favorito dei pentastellati? Non fatichiamo a immaginare. Non è di certo Roberto Fico, l’ex presidente della Camera, che è in pole per un ruolo che neppure ha mai accettato ufficialmente. Quale messaggio trasmette questo rifiuto?

Soluzioni? Ironia a palate!

Dunque, un scenario complesso, pieno di contraddizioni e mancanze, in cui il cammino verso le elezioni appare mosaico di scelte contraddittorie e movimenti politici confusi. La domanda da porsi è: come possiamo sperare in un cambiamento quando il sistema stesso sembra intrappolato in una rete di vecchi schemi? Possibili soluzioni? Magari un maggiore ascolto delle reali necessità della popolazione, tanto per cominciare. Oppure un po’ di coraggio nell’aprire il dialogo con chi si trova “fuori dai giochi”. Ma, ahimè, siamo ben consapevoli che ogni buona intenzione è spesso più facile a dirsi che a farsi. E così, ci ritroviamo a ironizzare su promesse di rinnovamento che, in effetti, sembrano più un miraggio che una realtà.

La politica italiana si muove in un equilibrio precario, dove i cambiamenti e le sorprese sono all’ordine del giorno. La recente uscita di scena del presidente campano ha di fatto catapultato Gaetano Manfredi al centro della scena elettorale, trasformandolo nel fulcro della tornata. Mentre si lavora a una lista civica, il sindaco di Napoli si propone come garante di un “campo largo”, ma cosa significa davvero? Per Manfredi, la soluzione risiede nel confezionare una coalizione che abbracci riformisti, moderati e sinistra, tutto in nome dell’interpretazione dei bisogni di una regione che, a suo dire, merita uno sguardo verso il futuro.

Promesse e apparenze

Ma non è tutto oro quel che luccica: in un contesto dove le promesse sembrano più slogan vuoti che piani concreti, Manfredi si difende a spada tratta dall’etichetta di candidato alla Regione. Eppure, l’idea di conferire il ruolo a Roberto Fico sembra una mossa strategica per sviare l’attenzione. Fico, tuttavia, non è entusiasta: “Non è il momento di parlare di nomi”, afferma, come se il suo nome non fosse già scritto nell’aria. Qui si intravede la solita retorica politica: parlare di programmi quando i nomi sono già sulla bocca di tutti.

Un panorama confuso

Ma la situazione non è più rosea nemmeno in Veneto, dove la sentenza della Consulta si erge come una barriera imprevista per Zaia, già in carica per il suo terzo mandato. La partita nel centrodestra si fa complicata, eppure Massimiliano Romeo, capogruppo leghista al Senato, esprime senza esitazioni: “Le Regioni che governiamo restino alla Lega”. Parole decise, che però accennano a un’insicurezza di fondo: se la situazione è così sotto controllo, perché tale insistenza?

Riflessioni finali

Quello che emerge da questa danza elettorale è una narrativa di contraddizioni e vaghezze istituzionali, dove nomi e programmi si mescolano in un mélange che appare più come un gioco di parole che un piano d’azione reale. Sfondi ideali si scontrano con un presente precario, e le promesse di un “cambiamento” sembrano rimanere inchiodate alla carta, più che alla pratica. Possibili soluzioni? Una revisione onesta dei programmi, il coraggio di abbandonare la retorica e un’autentica ricerca del proprio equilibrio come comunità. Ma in un sistema dove le apparenze sembrano regnare sovrane, chissà se saremo pronti a fare ciò che serve realmente.

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