Adesso tutti pronti a giocare a fare i Machiavelli, Richelieu e Otto von Bismarck. Ma attenzione, per carità, al “realismo politico”, quello che giustifica e razionalizza ogni nefandezza: sempre però dopo una pomposa indignazione di facciata, che non guasta mai. Guai anche a diventare quei pragmatici opportunisti da quattro soldi, quelli che tacciono quando la situazione si fa scomoda, pronti a resettare tutto come se fosse una partita a monopoli. E, per finire, occhio a fare i moralisti come lo eravamo un tempo, perché tutto ha un limite, eccome se ce l’ha. E per non dilungarci troppo, ecco un esempio lampante: come faranno adesso il Partito Democratico e il Movimento Cinque Stelle nella mitica Campania di Vincenzo De Luca, con il loro incredibile Medioevo progressista? L’ossimoro suona difficile, lo ammettiamo, ma è tutto un programma e dice molto del tipo di subcultura politica che vede nel tatticismo la sua unica religione. Quando Schlein, Conte e De Luca hanno presentato la coalizione per le regionali campane, hanno parlato di «un solido e concreto progetto di amministrazione della coalizione progressista, basato sull’importante lavoro svolto in questi anni».
Ecco le perle del lessico da scolarsi il bicchiere tutta d’un fiato: “coalizione progressista”, la parola magica a cui Conte non può rinunciare; e quel poeticissimo “importante lavoro svolto in questi anni”, che è il jolly di De Luca. Del contributo verbale di Schlein nemmeno l’ombra: schiacciata al tavolo delle trattative, non solo political ma anche lessicalmente. Ma non è questo il punto. Il vero capolavoro è che stiamo parlando della Campania, dove fino a ieri il Pd indicava proprio De Luca come emblema di un potere non solo personale e centralizzato, ma più che clientelare: simple, feudale. Anzi, per qualcuno, un vero e proprio regime. E attenzione: De Luca era il bersaglio d’assalto del movimento cinque stelle, sia nell’era movimentista di Grillo che nella versione più edulcorata e istituzionale sotto la guida di Conte. Da Fico a Fico, si potrebbe dire: dal primo Fico, paladino dell’estrema distanza istituzionale, alla seconda edizione del buon Fico, candidato possibile presidente di una coalizione ufficialmente anti-de luciana. Chiaramente non tutto il Pd vedeva di buon occhio gli ultras come Ruotolo, ma la contraddizione non è mai svanita: mentre la segreteria nazionale sbraitava contro De Luca definendolo un “cacicco” da manuale, la corrente maggiore in Campania lo coccolava senza batter ciglio.
Nel Movimento Cinque Stelle la spaccatura è consistita in un vero e proprio salto mortale degno di un Cirque du Soleil. Siamo passati dal Fico-uno, oppositore spietato, al Fico-due, candidato del rinnovamento, fino al clamoroso Fico-tre: stesso uomo, ma adesso in piena continuità con ciò che fino a poco prima veniva attaccato. Se davvero questo presunto “regime feudale” era l’inferno in terra, viene spontaneo chiedersi: quando sarebbe mai finito? E grazie a chi? Quando si menziona il “lavoro importante svolto”, si riferiscono anche ai dolori della sanità, che inghiotte la maggior parte del bilancio regionale? E ai trasporti, altro gioiello campano? Insomma, mica si cambia un sistema feudale con uno schiocco di dita. Se non altro, dietro tutto questo non c’è nemmeno la sapienza storica di un Le Goff o di un Cardini. Ma evidentemente la coerenza è roba superata: questa è politica, si promette per vincere e si fa il contrario per sopravvivere. Però, oh, almeno qualche spiegazione, prima o poi, agli elettori andrebbe data. E non solo per una questione di decoro intellettuale.
Le tre ragioni della farsa
Perché sì, questo spettacolo da giravolta politica ha almeno tre conseguenze sgradevoli. Prima di tutto rischia di spingere all’astensionismo proprio quella sinistra un po’ ingenuotta che aveva acquistato la fede nel cambiamento radicale. Poi, può generare più di qualche cipiglio tra i moderati, che faticheranno a capire (e soprattutto ad accettare) il convivere sotto lo stesso tetto tra i paladini dell’anti-sistema e proprio il simbolo più evidente del sistema da smantellare. Infine, anche i deluchiani con la puzza sotto il naso sanno fare i conti: quanti preziosi seggi può veramente garantire un ex governatore che ha collezionato tre sconfitte memorabili a ripetizione? La partita del terzo mandato bocciata, il rinvio elettorale perso clamorosamente e, dulcis in fundo, la maldestra vicenda del concerto del maestro russo Gergiev a Caserta.
Quel concerto, minimizzato all’inizio con tanto di esaltazione, poi brutalmente abbandonato al suo destino burocratico, è la metafora perfetta di questo De Luca versione 2.0: il vecchio sovrano ostinato, pronto a mettersi contro tutto e tutti, ora ammaccato e trasformato in burattino tattico. Ma non preoccupatevi, la politica è proprio questo: una recita di coerenza a velocità variabile, con tanto di aggiornamenti in tempo reale sul prezzo del compromesso.


