BP sfida il senso comune e sforna profitti trimestrali da record mentre il petrolio crolla

BP sfida il senso comune e sforna profitti trimestrali da record mentre il petrolio crolla

Ah, la gloriosa BP, ovvero il colosso petrolifero britannico che continua a sorprenderci: nel terzo trimestre ha fatto un profitto più forte del previsto. Il segreto? Beh, più estrazione di petrolio e gas, nonostante un trading del petrolio debole, perché chi ha bisogno di diversificare quando si può semplicemente spremere di più le risorse, giusto?

Il gigante quotato a Londra ha annunciato un utile di sostituzione di 2,21 miliardi di dollari per luglio-settembre, facendo impallidire le aspettative degli analisti, quelle sì, modestissime a 2,03 miliardi. Nel 2024 era a 2,3 miliardi, e nel secondo trimestre del 2025 a 2,35 miliardi — praticamente un’altalena di chiassosi numeroni.

Murray Auchincloss, il CEO con l’aria di chi ha sempre la situazione sotto controllo, ha commentato con il consueto ottimismo restrittivo:

“Abbiamo consegnato un altro trimestre da manuale, le operazioni girano come orologi svizzeri.”

Naturalmente, non poteva mancare la solita promessa da guru della finanza:

“Stiamo accelerando i nostri piani, rivedendo il portfolio per semplificare e cercando ulteriori magie sui costi e sull’efficienza.”

Ma guardiamo la situazione debitoria: il debito netto del terzo trimestre si è fermato a 26,05 miliardi di dollari, praticamente immobile rispetto al trimestre precedente, ma comunque in crescita rispetto agli 24,27 miliardi dello scorso anno. Fantastico, vero?

Numeri a confronto, speranze e retorica

Tra i dati salienti del trimestre, l’operatività ha generato 7,8 miliardi di flusso di cassa, un miglioramento notevole rispetto ai 6,3 miliardi del trimestre prima — ma ci vuole molto più di qualche miliardo in più per cancellare la patina di inevitabile sfruttamento ambientale.

Non mancano poi le classiche promesse di cessioni per più di 4 miliardi nel 2025 e, perché no, un aggiornamento alle previsioni: altri 750 milioni di buyback delle azioni nei prossimi tre mesi. Tradotto: un bel regalo agli azionisti, anche se a ritmo più lento rispetto ai mesi precedenti. Perché, si sa, la generosità ha i suoi limiti.

La grande “svolta” strategica e le illusioni verdi

Tutto ciò avviene a poco più di otto mesi dall’annunciata rivoluzione strategica di BP, che avrebbe dovuto rassicurare gli investitori su una svolta verso il verde. Ma guardate un po’: la parola magica è ridurre le spese sulle rinnovabili per concentrarsi sui pesi massimi di sempre, petrolio e gas tradizionali. Sì, avete capito bene, meno sostenibilità, più vecchia economia fossile.

Strano a dirsi, il mercato ha accolto con applausi questo nostalgico giro di valzer, tanto che il valore delle azioni è salito di oltre il 13% da inizio anno. Probabilmente per via del cambio al vertice, delle filippiche sul taglio dei costi e, last but not least, delle nuove scoperte petrolifere che hanno fatto sobbalzare gli investitori.

Per rincarare la dose di realismo green, lunedì BP ha annunciato la vendita di quote minoritarie in alcune pipeline terrestri americane, situate nelle amene regioni del Permian e Eagle Ford, a favore dell’investitore privato Sixth Street per 1,5 miliardi di dollari. Insomma, vendiamo un po’ di roba per far cassa, ma senza rinunciare ai pezzi pregiati, che si sa, vanno tenuti stretti.

Ricordiamo che il piano di dismissioni di BP punta a 20 miliardi entro la fine del 2027. Nel frattempo, il competitor britannico Shell si bea di risultati trimestrali superiori alle attese, vantando prestazioni operative robuste e consistenti guadagni dal trading, dimostrando che l’industria, nonostante tutto, non perde mai la voglia di fare affari con il mondo che brucia.

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