C’è un’inchiesta degli inesorabili magistrati italiani che riecheggia sinistramente attorno all’incidente del volo Air India diretto a Londra. Quel meraviglioso Boeing 787 Dreamliner schiantatosi su un college medico subito dopo il decollo da Ahmedabad non è solo un aereo, ma un simbolo di ciò che accade quando il risparmio va in volo insieme al passeggero. Proprio questo modello è al centro di un’indagine della procura di Brindisi per l’uso di componenti della fusoliera non conformi, addirittura giudicati scadenti al punto da mettere a serio rischio la sicurezza dei voli nelle condizioni più assurde. Sul banco degli imputati, per così dire, ci sono il gigante americano Boeing e l’italiana Leonardo, che si occupa della produzione di quei pezzi tanto “speciali”: entrambe, ironia della sorte, sono parte lesa. Sì, danneggiate dalla scoperta che i loro preziosi aeromobili potrebbero crollare come castelli di carte.
L’indagine, magistralmente orchestrata dalla Guardia di Finanza sotto la guida del pubblico ministero Giuseppe De Nozza, punta il dito su due società nostrane dal nomenclatura altisonante come la Processi Speciali e la Manifacturing Process Specification. Queste due fucine di “eccellenza industriale” fornivano materiali destinate a Leonardo, ma lo facevano con un tocco artistico tutto italiano: componenti realizzati con materiali che, a detta degli investigatori, avevano proprietà di resistenza talmente penose da risultare “largamente inferiori” agli standard accettabili. Tradotto in parole povere? Rischiavano di cederti addosso, pavimenti compresi, causando potenziali “collassi” dall’effetto drammatico. Non un dettaglio da poco, considerando che queste meraviglie meccaniche erano montate su ben 477 esemplari del Dreamliner, diventati solo dopo protagonisti di una straordinaria campagna di manutenzione. Ecco, il bello è che magari prima facevano decollare gli aerei con quei pezzi incriminati, ma poi li recuperavano con la faccia tosta di chi non ha fatto nulla di grave.
Al momento è un mistero degno di un giallo se i pezzi dell’aereo caduto Air India – che, sì, ha una flotta di circa trenta Dreamliner – fossero prodotti da qualche artigiano italiano più o meno improvvisato. Quel che è certo è che, dopo la scoperta di questi “miericordiosi” materiali, la compagnia indiana ha ordinato numerosi nuovi aerei le cui parti, guarda caso, saranno prodotte proprio nel comparto aerospaziale della regione italiana coinvolta. Questo velivolo è un affare del 2014, assemblato a Everett, negli Stati Uniti: un pezzo d’America costruito con “eccellenti” forniture dall’Italia, anche se l’inchiesta della procura di Brindisi prende il via ufficialmente solo nel 2016. Però ci risulta che Processi Speciali vantasse legami con Boeing anche anni prima, soprattutto per la galvanica, quella meravigliosa arte di rivestire pezzi usurati con materiali speciali, più o meno all’altezza della situazione.
Un disastro che fa riflettere… o forse no
Così, in barba alla sicurezza e al buon senso, abbiamo qui la dimostrazione plastica di come la rigidità dei controlli possa cedere di fronte alla tentazione della produzione low-cost, mascherata da sofisticazione industriale. Chi avrebbe mai detto che la leggerezza del Dreamliner non fosse solo una battuta sul peso dei bagagli a mano, ma anche sulla solidità dei materiali usati? Nel frattempo, le aziende coinvolte fingono di essere le vittime, mentre gli aerei in teoria più moderni rischiano di diventare tombe volanti. Una tragicommedia degna del miglior teatro dell’assurdo, con tanto di colpevoli ignoti e complici silenziosi.
Auguriamo buon viaggio a chi si affida a queste meraviglie del progresso e alla “sicurezza” che, a quanto pare, si limita a un’etichetta più che a una realtà concreta. Nel frattempo, l’Italia dimostra ancora una volta la sua arte raffinata nel trasformare le proprie eccellenze in trappole letali per i passeggeri ignari. Alla faccia del made in Italy.
L’anno scorso Sam Salehpour, ingegnere del celebre produttore di aerei americano, ha avuto la brillante idea di scrivere una lettera a Mike Whitaker, il boss della Federal Aviation Administration, quella simpatica autorità Usa che fa finta di vegliare sulla sicurezza aerea. Nella missiva, si parlava di ben “mille Boeing 787 e circa quattrocento 777 a rischio di cedimenti strutturali”. Come se non bastasse, la casa madre ha naturalmente smentito tutto senza battere ciglio. Per fortuna, fino ad oggi, nessun 787 si è schiantato al suolo: un dettaglio che forse li conforta nel negare l’evidenza.
I 477 aerei coinvolti possedevano un totale di 4.829 componenti in titanio nicchia commerciale, ma “non conformi”, in quanto realizzati con una lega che non era proprio quella pattuita, e altri 1.158 pezzi prodotti con una lega di alluminio non certificata. Certo, dettagli minori come proprietà di resistenza strutturale sia statica che a fatica e il costo d’acquisto largamente inferiori rispetto a quanto previsto dal contratto, mica roba da niente. Il risultato? Componenti in condizioni di stress che, soprattutto in caso di atterraggio d’emergenza, potevano causare incredibili effetti speciali: un possibile collasso del pavimento passeggeri nella fusoliera. Un dettaglio che rende i voli più… emozionanti.
I 7 indagati – per chi si stesse chiedendo se qualcuno è stato coinvolto, ecco la risposta – sono tutti accusati di attentato alla sicurezza dei trasporti, inquinamento ambientale e frode in commercio. L’inchiesta è stata archiviata lo scorso ottobre, con tanto di certificazione ufficiale. A sostenere le tesi dell’accusa ci sono due splendide consulenze tecniche redatte da ufficiali dell’Aeronautica, Manuele Bernabei e Guido Zucca, e da ingegneri dell’Enac, Paolo Privitera e Annamaria Dallan. Insomma, non parliamo di pettegolezzi da bar.
Per rendere la faccenda ancor più internazionale (e quindi più seria), nel pasticcio si sono infilati anche il Dipartimento di Giustizia americano e gli eroi dell’FBI, chiamati in causa dalla procura di Brindisi con una richiesta di rogatoria. Le autorità statunitensi, da bravi amici, hanno raccolto le deposizioni di ben tre dirigenti della Boeing e di un funzionario della Federal Aviation Administration, che ora riposano beatamente nei dossier del pubblico ministero. Un capolavoro di trasparenza e collaborazione transnazionale, insomma.