Milano, nel lontano 26 maggio, ci regala un’altra perla del nostro amato sistema giudiziario. Si scopre che le sessanta impronte rilevate dal Ris di Parma nella villetta di via Pascoli a Garlasco sono a “forte rischio contaminazione”. Cioè, in pratica, dopo quasi 18 anni di indagini, ora ci dicono che le prove potrebbero essere più sporche della verità stessa. Chapeau!
Le impronte, prelevate al piano terra della villa, appartengono a persone conosciute o, per dirla in modo più elegante, a quelli che non valeva nemmeno la pena approfondire. Ma non è tutto: queste impronte si trovano anche sulla porta d’ingresso, toccata da una miriade di soccorritori e carabinieri, alcuni dei quali decisamente non equipaggiati per l’occasione, visto che sono entrati senza guanti. Senza dubbio un ottimo approccio per preservare le prove. Tra queste impronte, la numero 10, che si trova vicino alla maniglia interna, ha attirato l’attenzione dei nuovi inquirenti e della difesa di Alberto Stasi, già condannato a 16 anni per l’omicidio della sua fidanzata. Ma si sa, in questi casi, la speranza è l’ultima a morire, e ora il suo avvocato sta cercando un Dna in grado di risolvere l’enigma.
E veniamo al punto cruciale: il consulente della famiglia Poggi, il genetista Marzio Capra (che ovviamente non è un amico di Facebook, ma un esperto piuttosto serio), solleva un’importante questione: “Sui para-adesivi – svela – c’è un forte rischio contaminazione. Non possiamo escludere che ci sia stato un ‘trasferimento’ di materiale.” Insomma, questo suono fastidioso che sentite è solo il rumore di un castello di carte che scivola lentamente. E che dire dell’impronta 33, quella palmare trovata vicino al corpo senza vita di Chiara? Ebbene, è stata già archiviata come… un’altra bella incertezza.
Ma non preoccupatevi, cari lettori! Mentre ci divertiamo con battaglie di indizi e la speranza di prove certe, la nuova inchiesta della Procura di Pavia riapre i dibattiti sul caso Garlasco. Nel frattempo, l’amico del fratello della vittima è sotto indagine ma, chissà come mai, la condanna di Stasi è rimasta immutata, una sorta di reliquia del passato.
Parlando di Stasi, ricorderete che la Procura di Pavia non si è mai occupata di lui. Era tutto un gioco di passaggi, come in un corretto giro del mulino. Le richieste di archiviazione dell’indagato Andrea Sempio, ben firmate dall’ex pm di Pavia Mario Venditti, hanno ricevuto il timbro di approvazione da ben due giudici diversi. E questa è solo la punta dell’iceberg dei tentativi della sua difesa di riaprire il caso. Recentemente, anche la Corte europea dei Diritti dell’Uomo ha riscontrato che il processo a Stasi è stato… attendibile. È fantastico come la giustizia sembri avere sempre una risposta pronta, non è vero?
Quando Stasi va a processo, la legge lo benedice con la possibilità di optare per un rito abbreviato. Che bello, vero? Ma a quanto pare, questo lusso non sarà più concesso in casi disperati, come dimostrano le storie di Alessandro Impagnatiello e Filippo Turetta. Ah, la giustizia italiana ha delle preferenze! La sua condanna di 24 anni è ridotta di un terzo per il rito abbreviato, portando la cifra finale a 16 anni. Non ci si può proprio lamentare, evidentemente la pietà non è di casa qui.
Per concludere, Chiara viene colpita all’ingresso e, incredibilmente, trascinata fino alle scale della cantina. E non ci si può nemmeno meravigliare del fatto che, in tutta questa confusione, qualcuno stia cercando di smascherare il vero assassino. Ricordiamoci sempre che nel bel paese, la verità è sempre soggetta a revisione!
Con le mani sporche di sangue e gettata giù. Le suole insanguinate delle scarpe ‘a pallini’ ci raccontano che l’assassino si ferma al gradino zero e poi si lava in bagno, perché è risaputo che gli omicidi si fanno seguendo un rigoroso protocollo di pulizia personale. È evidente, come sottolineato nella sentenza, che l’assassino si laverebbe le mani, e visto che sul dispenser (giustamente pulito) ci sono solo le impronte di Stasi, sembra proprio che lui sia l’ultima persona a toccarlo. Che strano, vero? E non è mica finita qui: sul tappetino del bagno c’è un’impronta di scarpa Frau numero 42, che è la taglia del fidanzato. Ah, la magia delle coincidenze! Non ha nemmeno un alibi in quei 23 minuti fatidici (tra le 9.12 e le 9.35), perché, si sa, chi ha un alibi è sempre il colpevole ideale.
Ma queste famose scarpe immacolate? Davvero sorprendente. Stasi uccide la mattina, torna a casa e magicamente finge di lavorare alla tesi. Prova a contattare Chiara più volte e, dopo quattro ore, decide di fare un salto da lei in auto, indossando le sue comode scarpe Lacoste. Ma insomma, chi non vorrebbe indossare scarpe eleganti in un momento così drammatico? Dice di essere entrato, però la perizia dell’appello bis (che il gup Stefano Vitelli non fa svolgere in primo grado, chissà perché) dimostra che quando il laureando afferma di aver visto Chiara senza vita, beh, sta semplicemente intrattenendo la folla con una bella balla. Statisticamente impossibile sporcarsi le scarpe su quelle macchie di sangue fresco; fisicamente impossibile vedere un corpo senza scendere. Davvero un colpo di genio, non credi?
Il fidanzato parla di un incidente domestico. Ma dai, è difficile crederci guardando la scena del crimine! La vittima con il viso ricoperto di sangue: che accidente strano per un incidente! Inoltre, Stasi nasconde di avere una bici nera da donna, che tra l’altro verrà sequestrata solo anni dopo, perché la puntualità è importante. E indovinate un po’? Durante il processo d’appello bis si scopre che i pedali di quella ‘Umberto Dei’ sono stati sostituiti, e su altri pedali “innocenti” è stato trovato il DNA della vittima. Che coincidenza incredibile!
Un bel gruppo di carabinieri entra in casa senza guanti, proprio come nei migliori film. Le scarpe di Stasi vengono sequestrate solo il giorno dopo, perché chi ha tempo non aspetta tempo. Passano 40 giorni e i militari notano un sistema d’allarme nell’officina del padre del sospettato, ma è tardi: il sistema conserva solo cento eventi e i dati del 13 agosto sono stati cancellati. Il computer, che viene acquisito la mattina del 14 agosto, viene aperto dai carabinieri senza rispettare le procedure forensi. Una performance da Oscar, non c’è dubbio!
E poi c’è la bici. Ma che scelta “anomala” di non sequestrare la bici nera da donna di Stasi! Questa decisione, costata un processo all’allora carabiniere Francesco Marchetto, ha avuto “indubbie ripercussioni negative sull’andamento delle indagini”, scrive la Cassazione. Ma che ci si può aspettare, dopotutto?
Ma che dire del movente? Il ragazzo perbene e lo studente modello con “la passione per la pornografia” (le parole dei giudici, eh) uccide Chiara Poggi diventata “per un motivo rimasto sconosciuto, una presenza pericolosa e scomoda, come tale da eliminare”. E così la ventiseienne viene colpita a morte “dall’uomo di cui si fidava, che l’ha fatta definitivamente ‘scomparire’ in fondo alle scale”. Dopo averla uccisa, “è riuscito con abilità e freddezza a riprendere in mano la situazione”, perché si sa, chi ammazza deve anche gestire le sue faccende quotidiane, come accendere il computer e guardare foto pornografiche, scrivendo la tesi come se nulla fosse accaduto. Che applausi!
Ci sono anche gli strani suicidi a Garlasco, la pista satanica e quel bizzarro mondo che si muove intorno al Santuario della Bozzola. E che dire delle “sensitive” che dicono di sapere chi è stato? Il misterioso segreto fatale per la vittima, il sicario, l’assassino fumatore e l’ipotesi della rapina senza bottino: ogni ipotesi alternativa è stata vagliata! E le gemelle K? Dopo quasi 18 anni, resta solo il fotomontaggio delle sorelle Stefania e Paola Cappa, cugine della vittima, e l’odio sui social. Hanno un alibi, ma di loro non c’è traccia vicino al corpo di Chiara. Che coincidenze incredibili, eh?
Sui social si dubita anche del fratello Marco Poggi, che era in vacanza in Trentino con i genitori. Mamma Rita Preda e papà Giuseppe non hanno saltato un solo giorno di udienza nei cinque processi, della durata di otto anni. Eccezionale, vero? Mai una parola di rabbia verso chi avevano accolto in casa e che hanno scoperto fosse l’assassino. Ma chi ha bisogno di giustizia quando ci si può affidare al sistema? E così, il verdetto di condanna “oltre ogni ragionevole dubbio” è stato pronunciato in nome del popolo italiano. Per lo Stato, Alberto Stasi è dunque il colpevole dell’omicidio di Chiara Poggi.



