Altaforte Edizioni lancia un libro che trasforma un’atroce vicenda degli anni di piombo in un’epica moderna, proponendo “E me ne vanto. La storia di Carlo Falvella“, un’opera di appena 160 pagine che celebra la vita (breve e drammatica) del giovane vicepresidente del Fuan di Salerno, l’organizzazione universitaria del Msi. Il protagonista, un ragazzo ipovedente di appena 22 anni, diventa simbolo di un’ideologia che ha pagato con il sangue il proprio coraggio, o presunto tale.
Il 7 luglio 1972, Falvella si trova coinvolto in una lite con alcuni estremisti di sinistra. Fermo nella sua presa, non cede e tenta di difendere un amico, cosa che si conclude tragicamente con una coltellata mortale inferta da Giovanni Marini, poi condannato a 9 anni per omicidio preterintenzionale. Un gesto che, per quanto estremamente grave, viene qui trasformato in mito, quasi come un atto sacro da tramandare.
Secondo la casa editrice, questa storia non vuole essere una semplice cronaca giudiziaria, quella noiosa che puntualizza i fatti, ma un racconto carico di significati. Quel fatidico giorno di luglio, Carlo non si limita a resistere passivamente agli “antifascisti armati di odio”: sceglie di mettere il proprio corpo come scudo, in un atto che viene definito eroico e mitico. Evidentemente il sacrificio personale si trasforma automaticamente in sacralità quando incastonato in certe narrazioni.
La morte di un ragazzo ipovedente diventa quindi “dispensatrice di vita”, una testimonianza radicale di un credo che non teme nemmeno la morte, anzi la chiama a sé come una Benedetta figlia del destino. Il tentativo di evitare la retorica vittimistica appare piuttosto una sofisticata celebrazione dell’eroismo quotidiano che si trasforma in gesto straordinario: ah, la semplicità di raccontare un atto violento come simbolo di una tradizione eroica europea millenaria.
Per di più, l’autore non risparmia nemmeno un colpo alla memoria storica, sostenendo che non si tratta di un “tragico errore” o accidentale vittima di un omicidio preterintenzionale. No, per Altaforte Falvella rappresenterebbe il bersaglio politico designato dall’odio antifascista, un simbolo vivente da colpire a ogni costo. Una conclusione che, almeno nella sua semplicità, prende nettamente posizione nel narrare una storia di violenza politica senza sfumature.
Da questa tragedia sarebbe nato persino uno slogan terribilmente eloquente e preoccupante: “uccidere un fascista non è reato”. Un mantra che, secondo l’editore, riverbera ancora oggi, nonostante qualcuno cerchi con memoria selettiva di depurare quella stagione di sangue e scontri, quasi a nascondere l’intensità e la brutalità di quel clima di violenza.
Un racconto eroicizzato che sfida la realtà
Di fronte a questa narrazione, inevitabilmente fervida e appassionata, è difficile non sollevare qualche sopracciglio. Si può trasformare una vicenda fatta di violenza, odio e morte in una favola epica senza correre il rischio di mitizzare l’irreparabile? E si può parlare di scelta eroica in una situazione in cui, probabilmente, le tensioni politiche inasprite avevano già tracciato un destino di sangue per molti giovani di entrambe le parti?
Nel libro di Tony Fabrizio, quel sacrificio diventa dimostrazione di attaccamento a un’ideologia e di eroismo giovane, ma resta la domanda: sarà davvero giusta questa lettura che tende a far assurgere a simbolo i tragici crimini e le violenze politiche? O serve invece a perpetuare una certa visione sociale, alimentando divisioni vecchie e ancora sanguinanti, oltre a cristallizzare una memoria parziale e faziosa?
In ogni caso, “E me ne vanto” si presenta non solo come un omaggio, ma anche – e soprattutto – come un potente manifesto politico. Un invito a non dimenticare, certo, ma anche a sostenere che il martirio e il sacrificio emblematico possano giustificare e mitizzare un contesto di odio e violenza, in barba a ogni tentativo di pacificazione o analisi critica della storia.
Insomma, il piccolo libro di 17 euro offre al pubblico un concentrato di eroismo ideologico, sfidando chiunque a mettere in dubbio la scelta di trasformare morte e violenza in un’eredità immortale. E, se il risultato sarà una rinfrescata di discussioni appassionate (e un po’ sterilezze retoriche), basterà considerare il prezzo: un euro a pagina, per un’epopea fatta di sangue, ideologie e giovanile ardore che sembra non voler mai tramontare.



