Andrea Riccardi: Il nuovo Papa? Siamo ancora nel bel mezzo del caos, ma lasciamo che l’unità faccia il miracolo.

Andrea Riccardi: Il nuovo Papa? Siamo ancora nel bel mezzo del caos, ma lasciamo che l’unità faccia il miracolo.

«In questo momento di discussione, la Chiesa cattolica potrebbe apparire straordinariamente fratturata. Diverse opinioni, tribù in conflitto. D’altronde, l’aula della Congregazione non è esattamente un luogo insonorizzato; le voci si diffondono e le chiacchiere corrono come fossero addette alle vendite in un mercato. È così, perché ci troviamo in un processo che, oggi più che mai, è in piena espansione, ma che arriverà senza dubbio a ribadire l’unità della Chiesa e a rinnovarla», disse Andrea Riccardi, fondatore della Comunità di Sant’Egidio, uno dei laici cattolici che, ahimè, ha avuto il privilegio di frequentare papa Francesco.

Studioso della Chiesa dai tempi della pubertà, e per la sua tesi di laurea scelse come argomento le relazioni con lo Stato, Riccardi ha da decenni un’immensa familiarità sia con ciò che viene definito Oltretevere sia con una vasta rete di rapporti internazionali che potrebbero essere il soggetto di un thriller.

Alla domanda su quale sintesi potremmo aspettarci nella dialettica corrente, Riccardi risponde: «In un corpo con oltre un miliardo di credenti, è inevitabile che ci sia sempre qualcuno scontento, ma il Conclave ribadirà l’unità della Chiesa, nonostante tutto».

Ma guardiamo un attimo il fatto che molte analisi sul Conclave si concentrano sull’Italia. In effetti, adottano quasi sempre chiavi di lettura politiche, esponendosi quindi al rischio di cadere nel baratro degli schemi. A mio avviso, esiste un largo ventaglio di riflessioni che si sviluppano all’interno del Collegio cardinalizio, ma che sfuggono ai radar della stampa.

Alla fatidica domanda su quali possano essere i termini del confronto per l’elezione del prossimo Papa, Riccardi ribatte: «Essere italocentrici è solo un modo per mascherare la realtà: stiamo navigando in mare aperto. Questo sarà un Conclave con cardinali che godono di una massima internazionalità. Provengono da una miriade di Paesi».

«Settantauno in totale», precisa. «Certo, sarebbe arzigogolato pensare di comprendere i legami, gli orientamenti, le prospettive. Ci sono cardinali nuovi e altri che, incredibilmente, non si sono mai incontrati in un’assemblea. Si sta quindi vivendo un periodo di rodaggio. Ognuno esprime le proprie idiosincrasie e tutti cercano di socializzare. Siamo appena all’inizio di quello che Jorge Mario Bergoglio, da buon gesuita, definirebbe “discernimento”», conclude.

Un aspetto da non sottovalutare per cercare di orientarsi tra le nebbie di queste sagge analisi? «Oltre ai 133 elettori, partecipano…»

Il dibattito sul futuro della Chiesa sta rapidamente diventando un palcoscenico in cui le dinamiche interne sembrano più dei reality show che una seria riflessione teologica. E perché no? Dopo tutto, chi ha bisogno di serietà quando si può discutere animatamente sull’eredità di un Pontefice con l’ardore di un gruppo di amici che decidono su quale pizza ordinare?

In effetti, stiamo parlando di un’assemblea che comprende sia elettori che non elettori, e dai tempi di Paolo VI non hanno più diritto di voto oltre gli ottant’anni. Devo dire che il criterio di esclusione è piuttosto… rinfrescante. Un’assemblea guidata da un non elettore, Giovanni Battista Re, conta ben oltre 230 persone. Mentre discutono, non possiamo fare a meno di chiederci: come si fa a prendere sul serio il tutto con questo mix di generazioni, una sorta di riunione della terza età con qualche giovane carismatico in mezzo?

Quanto ai criteri per scegliere il successore di Francesco, il dibattito sembra oscillare tra “dobbiamo scegliere il successore di Pietro” e “non quello di Francesco“. Perché, ovviamente, non dobbiamo mai farci prendere dal fondamentalismo, giusto? Immagino sia semplice passare sopra le contraddizioni e continuare a proclamare la successione apostolica come se fosse un reality di MTV.

Un cardinale tedesco, che ci piacerebbe catturare per un’intervista, ha affermato: “Non sappiamo chi sarà, ma l’importante è garantire che sia il successore di Pietro”. Mi chiedo, cosa c’entra Joseph Ratzinger con tutto ciò? Ah, sì, era anche lui un fine teologo che si è definito successore di tutti i suoi predecessori, giusto per scombinare ulteriormente le carte.

Ma veniamo agli schieramenti. Non si può più parlare di progressisti e conservatori, dicono. Infatti, la Chiesa ha bisogno di un candidato che non solo stabilizzi, ma continui la pastorale alla Francesco, carismatica e di evangelizzazione. Quasi come se avessimo bisogno di un Pontefice che possa anche ballare, per attirare i giovani. Voglio dire, come ci si può opporre a un po’ di carisma e a una buona danza?

Ma parlando seriamente, l’intelligenza artificiale e le sfide geopolitiche influenzano veramente la scelta dell’età del nuovo Papa? Sarà giovane e al passo con i tempi, oppure saggio e un po’ più provato dal mondo? Decideranno i cardinali, ma a questo punto non possiamo escludere che si trovino di fronte a uno scenario apocalittico da film horror se non prestano attenzione.

L’età è un fattore cruciale, e nel caso di Giuseppe Siri, che nel 1958 aveva solo 52 anni, era un’età considerata a prova di “Papa Eterno”. Qualche anno a tavola e le cose cambiano, ma si sa, la Chiesa è come una buona bottiglia di vino: invecchiando, migliora… o finisce per diventare aceto.

Ora, il luogo di provenienza ha un peso, immagino. Con tanti cardinali africani in circolazione, è lecito chiedersi: su chi porteranno il loro peso? Forse un Papa africano? Ovviamente, ci sono sempre dubbi, specialmente quando si tratta di benedizioni alle coppie non regolari. Questa è roba seria, eh?

E che dire degli asiatici? A parte le Filippine, sono tutti in una situazione di minoranza religiosa, mentre le Chiese europee, pur di numero risicato, si trovano in paesi a tradizione cristiana. Un bel contrasto, ma in Chiesa, di fronte ai problemi, ci si aspetterebbe un omaggio a quel “pieno rispetto” che tanto piace ai cardinali, senza che nessuno abbia il coraggio di dire: “Abbiamo bisogno di più carta igienica!”.

Infine, la questione è chiara. Chi sarà il prossimo Papa non può ignorare la concorrenza degli evangelici. Dico solo “già visto”. È stata una forza notevole, anche all’interno della Casa Bianca di Donald Trump. Ma hey, chi ha voglia di affrontare questo argomento scomodo quando si può continuare a girare in tondo con i rosari in mano?

Quando finalmente venne eletto il nuovo presidente, fu a dir poco comico vedere la signora Paula White nominata alla guida dell’Ufficio Fede. Un’idea brillante, non trovate? Certo, perché chi meglio di lei per rappresentare un’associazione così lontana dalla visione del Papa di Roma? Stiamo parlando di un movimento che incarna tutto ciò che è “prima io”, una vera e propria celebrazione dell’egoismo e della prosperità individuale, deliziosamente frammentato in comunità tanto microscopiche quanto macrocopiche.

In effetti, c’è un curioso paradosso: Papa Francesco è l’antitesi di Trump. Non in senso politico, ovviamente. Ma in termini di visione religiosa e universale, beh, è come se due mondi completamente opposti si sfidassero sul ring della fede. Da un lato, un messaggio di inclusività e compassione, dall’altro un urlo di: “nessuno deve avere ciò che non si guadagna”.

Perché, alla fine, in un’epoca in cui la spiritualità viene ridotta a una semplice transazione commerciale, la vera sfida è quella di mantenere una visione globale e altruista in un panorama che premia il “primo io che arriva”. L’umanità è in un vortice di frammentazione, dove ogni micro-comunità si sente in diritto di erigere il proprio santuario della prosperità, mentre l’universo spirituale di Francisco resta un faro solitario nel buio.

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