Analisti in allarme: il petrolio promette un nuovo giro di montagne russe e noi a pagare il conto

Analisti in allarme: il petrolio promette un nuovo giro di montagne russe e noi a pagare il conto
Il petrolio a rischio altissimo mentre l’Iran minaccia lo Stretto di Hormuz: mercati in allarme

Le trattative sono bloccate, ma gli analisti già proiettano un’impennata veloce dei prezzi del petrolio, spaventati dall’eventualità che l’Iran decida di vendicarsi bloccando le rotte marittime nello strategico Stretto di Hormuz. Tutto questo come risposta agli attacchi militari statunitensi contro le sue infrastrutture nucleari, perché cosa sarebbe una crisi senza un po’ di dramma regionale?

Economisti allertano: una fiammata dei prezzi del greggio non sarebbe una buona notizia per un’economia globale già piuttosto traballante. Colpa – o merito, dipende dai punti di vista – dei dazi voluti dall’ex presidente Donald Trump che hanno complicato la situazione. L’effetto immediato? Un crollo dei mercati finanziari, seguito classico ma prevedibilissimo aumento della corsa ai beni rifugio, con il dollaro Usa pronto a tirare su il crollo.

La storia insegna che questa dinamica non è esattamente una novità: nei momenti di tensione in Medio Oriente, come con l’invasione dell’Iraq nel 2003 o gli attacchi alle infrastrutture petrolifere saudite nel 2019, si è visto un tonfo iniziale delle azioni seguito sempre da una ripresa. Insomma, i mercati sono bravi a prendersi qualche colpo ma poi sanno tirarsi su le maniche.

La preoccupazione principale rimane l’inflazione, ovvero quella spina nel fianco che fa sudare le banche centrali. Con il costo del petrolio in ascesa, la fiducia dei consumatori rischierebbe di esplodere come un palloncino in mano a un bambino iperattivo, riducendo drasticamente la possibilità che i tassi d’interesse vengano tagliati a breve termine. In parole povere, nessuna dolcezza monetaria all’orizzonte.

Secondo le analisi di S&P Global Community Insights, il bombardamento delle strutture nucleari iraniane farà sicuramente schizzare in alto i prezzi del greggio nel breve periodo. Ma il vero punto interrogativo è che succederà dopo. Peggio ancora: nel peggior scenario possibile, l’Iran potrebbe decidere di colpire direttamente interessi americani, fermare le esportazioni di petrolio o chiudere completamente il traffico marittimo nello Stretto di Hormuz.

Lo Stretto di Hormuz non è un passaggio qualsiasi: ogni giorno ci passano circa 21 milioni di barili di petrolio provenienti da Iran, Iraq, Kuwait, Arabia Saudita ed Emirati Arabi Uniti. Questo significa che un terzo delle forniture petrolifere mondiali via mare dipende da questa stretta fascia d’acqua. Se si chiude lo stappo, la bottiglia esplode: il mercato energetico si trasforma in un campo minato.

Giusto per alimentare la tensione, prima che scattassero i raid americani, Elliott Abrams, ex rappresentante speciale per Iran e Venezuela nell’amministrazione Trump, aveva già fatto capire che gli obiettivi non sarebbero stati limitati solo a Teheran: anche gli alleati degli Stati Uniti del Golfo, come Arabia Saudita ed Emirati Arabi Uniti, potrebbero finire nel mirino. Un bel quadretto, vero?

Mark Spindel di Potomac River Capital ha gentilmente illuminato i mercati dicendo che, ovviamente, la loro prima reazione sarà il panico più totale e che il petrolio aprirà in bel rialzo. Che sorpresa, eh?

Scenari da manuale, o quasi: le intuizioni di Oxford Economics

Prima che gli Stati Uniti decidessero di fare il solito show bellico, gli analisti di Oxford Economics si erano sbizzarriti a ipotizzare tre possibili scenari, tutti più allegri dell’altro: un simpatico allentamento del conflitto, un bel fermo totale nella produzione iraniana di petrolio e, ciliegina sulla torta, la chiusura dello Stretto di Hormuz. Ovviamente, l’impatto di questi scenari sul prezzo globale del petrolio aumenterebbe a vista d’occhio.

Nel più gettonato tra gli incubi, i prezzi del petrolio schizzerebbero sui 130 dollari al barile, giusto per aggiungere un po’ di pepe, portando l’inflazione negli Stati Uniti verso un elegante 6% entro fine anno. Ah, sì, perché nulla dice “economia stabile” come una bella fiammata inflazionistica accompagnata da prezzi del carburante alle stelle. Chapeau.

Previsioni illuminanti e ottimismo da bar dello sport

Jamie Cox, managing partner di Harris Financial Group, ci regala la sua perla di saggezza: il petrolio salirà di sicuro nelle prossime ore, ma niente paura, tornerà tutto come prima in pochi giorni. Perché lo sa lui, eh? Secondo lui infatti, questi attacchi faranno in modo che l’Iran, improvvisamente assalito dal senso di pace e amicizia, correrà a sedersi a un tavolo con Israele e Stati Uniti per firmare un bell’accordo di pace. Bella favola.

JPMorgan e la cupa realtà: date un’occhiata al passato

Se siete amanti di giornate serene, allora non ascoltate Natasha Kaneva, la signora pessimista dei mercati materie prime di JPMorgan. Secondo lei, se in Iran si scatenasse un’ulteriore destabilizzazione politica, potremmo assistere a un aumento del prezzo del petrolio non solo significativo, ma anche duraturo nel tempo. Che spasso.

La signora Kaneva ci ricorda con piglio da professoressa di storia che, dal 1979 ad oggi, ci sono stati otto cambi di regime nei principali paesi produttori di petrolio. E indovinate? Ogni volta i prezzi del petrolio hanno fatto loro un favore, salendo di ben il 76% al picco massimo, per poi stabilizzarsi comunque a un livello superiore del 30% rispetto a prima della crisi. Uno spettacolo che si ripete. Esempio da manuale? Tra metà 1979 e metà 1980, durante la rivoluzione iraniana che ha mandato a casa lo Scia’ e messo in sella la Repubblica Islamica, i prezzi hanno praticamente triplicato, innescando quella simpatica recessione economica mondiale che tutti amiamo ricordare.

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