Sapete come spesso iniziano i grandi drammi? Con un sabato qualunque. Nel nostro caso, il 18 gennaio, Najeem Osama Almasri, quel gioiellino di generale libico accusato di torture, si sta beatamente godendo la partita Juventus-Milan a Torino, arrivato fresco fresco dalla Germania in un’auto a noleggio. E mentre lui si calava i popcorn, la tanto inflessibile Corte penale internazionale dell’Aia aveva già messo in moto un mandato di arresto internazionale per crimini contro l’umanità, da una richiesta maturata il 2 ottobre. Ma chi va di fretta, perde la partita, e così Almasri va a riposare in un hotel di Torino, ignaro dei guai che lo attendono.
Alche arriva la domenica mattina, perché cos’altro farebbe un detective, se non introdursi presto presto nella vita di un generale accusato di tali nefandezze? La Digos irrompe nella scena e lo arresta. Peccato che, secondo lo Statuto di Roma, ci si aspetterebbe un bel via libera preventivo dal ministro della Giustizia. Invece, no, l’arresto arriva senza autorizzazione preventiva, un dettaglio così piccolo che qualcuno ha osato definire l’operazione «irrituale». I dettagli? Sì, sembra che solo dopo un bel consulto tra ministeri e articoli di legge, il ministro competente dovrebbe dare l’ok per imbastire l’arresto. Ma in questo caso? Tutto sottobanco e senza formalità.
Lo stesso giorno, sempre domenica, alle 12.37, qualche anima pia al ministero della Giustizia viene messa al corrente, e in modo così informale che il ministro Carlo Nordio si affretterà a sottolineare quanto fosse privo di documenti certi. Nel frattempo, il nostro generale si godeva la prima notte in cella, una delle due sole che avrebbe trascorso lì.
Il lunedì 20 gennaio, alle 12.40, arriva finalmente il tanto atteso carteggio ufficiale, spedito dal procuratore generale della Corte d’appello. Una nota a margine: il medesimo carteggio era già stato spedito il giorno prima dall’ambasciata olandese tramite il servizio Affari internazionali del ministero. Peccato solo che chi di dovere, in via Arenula, si sia dato alla lettura solo alle 13.57 del lunedì. Ma non prima di aver già ricevuto,va da sé, una missiva dai tecnici del dipartimento Affari di giustizia del ministero, che — tanto per tenere alta la tensione — scrivono alla capo di Gabinetto Giusi Bartolozzi per informarla. E qui, come si evince dagli atti dell’indagine, la nostra protagonista risponde con la solita dimostrazione di efficienza: dichiara di «essere stata informata».
Ah, la comunicazione informale, quel fantastico strumento di chiarezza… o forse no. Fonti ben informate nel cerchio ristretto di Nordio affermano che tutto si limita a qualche allusione velata e alla richiesta divina di usare Signal. Sì, proprio quella app criptata, perfetta per mantenere segreti segreti che poi, miracolosamente, si scoprono.
Nordio si presenta lunedì con fare da indagatore meticoloso, pronto a leggere e rileggere lettere, fascicoli e qualche geroglifico, in quella che definirà una faccenda “complessa”, senza però decidere se muovere un dito. Tra “contraddizioni logiche” e errori formali del calibro di una data sbagliata sulla commissione del reato, il nostro eroe si trincererà nel silenzio e, oltretutto, eviterà perfino di consultare la Corte Penale Internazionale (CPI). Per fortuna, il tribunale de L’Aia noterà questa brillante scelta comunicativa.
Intanto, il procuratore generale della corte d’appello, forse poco incline alla filosofia dell’attesa, si arrovella chiedendo cosa pensi di fare Nordio sull’autorizzazione all’arresto, ma cade nel vuoto assoluto. Risposte? Neanche l’ombra.
Il capolavoro dell’arresto mancato
Arriviamo a martedì 21 gennaio, giornata di gloria e confusione. La Corte d’appello di Roma, evidentemente stanca di aspettare direttive da un ministero silente, decide di svolgere il proprio dovere. Su richiesta del difensore di Almasri, riconosce il piccolo dettaglio dell’”irritualità procedurale” dell’arresto del caro generale libico. Perché? Semplice: mancava il via libera preventivo del ministro, quella formalità ormai superflua, vero?
La sentenza è un capolavoro di burocrazia: “non luogo a procedere” e immediata scarcerazione per il signor Almasri. Una decisione che farebbe impallidire chiunque abbia orecchie per sentire e occhi per vedere le palesi incongruenze.
Ma la storia non finisce qui: proprio quel giorno, l’ultra-affascinante responsabile del famoso «carcere-lager» di Mitiga, alias Almasri, viene elegantemente rispedito a casa con un volo speciale dei servizi italiani, utilizzato per “motivi di sicurezza e urgenza”. Parole soavi dal ministro dell’Interno Pianteodosi, secondo cui, ovviamente, il signor Almasri sarebbe una minaccia sociale se lasciato libero. Insomma, meglio rimandarlo dove ovviamente continuerà a godere del massimo rispetto per i diritti umani…