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Alexander Langer: il veggente scomodo che aveva capito tutto prima delle bombe e delle bufale sulla convivenza

3 Luglio 2025
Alexander Langer: il veggente scomodo che aveva capito tutto prima delle bombe e delle bufale sulla convivenza

Chi era Alexander Langer? Sono passati trent’anni da quel memorabile 3 luglio 1995, giorno in cui Alex ha deciso di abbandonare questo mondo così meravigliosamente caotico. Tempo più che sufficiente per chiederselo, soprattutto se siete tra quelle generazioni – compresi i quarantenni – che non hanno avuto la fortuna (o la sfortuna, a seconda dei punti di vista) di conoscerlo di persona. Ma vale anche per chi lo ha frequentato, magari con la speranza che il mondo fosse cambiato in meglio, e invece si ritrova a strabuzzare gli occhi davanti alle contraddizioni del presente, interrogandosi sull’attualità del suo pensiero. Alex era un uomo di confine. Non solo perché veniva da Vipiteno/Sterzing, a due passi dall’Austria, ma perché ha saputo cogliere la bellezza e la confusione di ogni linea di demarcazione molto meglio di chiunque altro. La sua vita è un mosaico di origini culturali, linguistiche e religiose in costante scontro e incontro. Da giovane, attraversando l’Italia e l’Europa, lui stesso ammetteva di non sentirsi mai veramente rappresentato da nessuna bandiera sventolante davanti agli ostelli.

Formato al Franziskanergymnasium di Bolzano e impegnato nella congregazione mariana, il suo sogno ecumenico lo spingeva incessantemente verso il dialogo. Una vocazione nata dalla ferma convinzione di essere un costruttore di ponti, un diplomatico delle differenze, soprattutto tra cattolici tedeschi e italiani. La sua vita è stata una lunga marcia per unire chi, da una parte o dall’altra del confine, sembrava incapace di comprendersi. Che si trattasse di lingue, culture, religioni o persino di quell’insidioso duo chiamato etica e politica, utopia e pragmatismo, per lui non c’era alternativa: o costruisci ponti, o sei destinato a restare intrappolato in muri di incomunicabilità.

Nei tumultuosi anni Sessanta si è impegnato nel cosiddetto “gruppo misto”, una specie di club esclusivo formato da ragazzi e ragazze di lingua tedesca, italiana e ladina. Il loro passatempo preferito? Studiare la storia del Sudtirolo, ovviamente con l’obiettivo di capire come tutto sarebbe potuto andare diversamente – perché, si sa, la storia ama ripetersi, ma noi siamo pieni di idee originali. Nel frattempo, fuori dalle loro stanze, proseguiva il triste stillicidio di attentati, mentre la società si divideva rigidamente tra due blocchi contrapposti, come se la vita fosse un ipotetico gioco di squadra a spicchi. All’interno di quel “gruppo misto”, di cui Langer era indiscutibilmente il motore, cominciava piano piano a capire che un’unica soluzione non avrebbe mai potuto soddisfare le esigenze di una realtà così complessa.

Poteva essere la mitica chiave d’oro per risolvere tutti i pasticci del Sudtirolo, un laboratorio in miniatura per testare quella tanto decantata “convivenza”. Peccato che la realtà si sia divertita a ridicolizzare questa nobile utopia.

Nel 1964, un giovanissimo diciottenne che scriveva per il giornale studentesco Bizeta58 di Bolzano, lanciava provocatoriamente un appello ai giovani di lingua tedesca: coraggio, dialogate con i coetanei italiani! E se vi chiamano traditori, pazienza, d’altronde quei “puri” che non si sono mai sforzati di dialogare meritano ben altro.

Per chi si crogiola nell’illusione dell’unità etnica come valore assoluto, ogni tentativo di rompere la monolitica compattezza è sospetto, se non addirittura eretico. L’arma preferita dell’establishment politico-culturale? Creare un nemico interno da additare e schiacciare senza pietà, tanto più odioso quanto più vicino.

Alex Langer fu bollato come tale: traditore, nemico dell’autonomia, disertore. Ma lui, da maestro del paradosso, prese quel marchio d’infamia e ne fece la sua bandiera per smantellare la conflittualità etnica. Ammetteva solo «traditori della compattezza etnica», mai «transfughi».

In un suo provocatorio “tentativo di decalogo per la convivenza interetnica”, ci parla di mediatori, ponti, saltatori di muri ed esploratori di frontiera. Insomma, persone capaci di tirarsi fuori da una mentalità che sfocia nel cieco esclusivismo, dove «rimanere uniti» è un dogma intoccabile, pronto a soffocare qualunque dissenso.

Per Langer “tradire” si traduce in un atto d’amore e verità verso il proprio gruppo, una lezione che supera i confini locali e diventa universale. Ovviamente, questo tipo di amore scismatico non è mai piaciuto agli intransigenti, ma così funziona la convivenza, quando non si è disposti a vivere in un’aura di ipocrisia.

Langer fu il primo a credere che il Sudtirolo potesse essere quel minuscolo laboratorio dove sperimentare un “modello europeo” di convivenza. Un “profeta”, come viene ancora oggi osannato soprattutto dagli ambientalisti, perché anticipò la crisi ambientale e la necessità di impegnarsi per la cura del pianeta molto prima che diventasse moda.

Ma nessun dono soprannaturale, solo un acuto occhio capace di leggere i segnali dei tempi. La sua sfida costante era capire il presente e anticiparne le traiettorie, senza farsi ingabbiare dalle ideologie che – come sempre – amano vendere la realtà in formato confezionato.

I grandi temi del Novecento e la sua eredità

Quella che ci propinano come “visione profetica” di Langer, altro non è che la conseguenza naturale di un’intelligenza che ha attraversato gli spasmi del Novecento: dal conflitto etnico in Sudtirolo alle rivolte del Sessantotto, dalla questione ambientale fino alla guerriglia nell’ex Jugoslavia.

Restare “nel presente”, guarda un po’, rende meno incline a farsi infinocchiare da tutti quegli “-ismi” (nazionalismo, ideologismo, integralismo, scegliete voi) che riducono la complessità umana a rigidi schemi di verità assoluta. Più utile di un profeta, Langer è stato un pragmatico cultore del dialogo e della riconciliazione.

Oggi rimane un punto di riferimento per chi spera in una società un po’ meno ingessata e più giusta, anche se, ammettiamolo, questi esperimenti di convivenza pacifica continuano a sembrare roba da sognatori allo sbaraglio. Ma che importa? Meglio avvicinarsi a lui per quei valori di dialogo e pace che nessuno ha mai davvero il coraggio di praticare.

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