Addio a un’epoca che qualcuno, ancora oggi, vorrebbe farci rimpiangere

Addio a un’epoca che qualcuno, ancora oggi, vorrebbe farci rimpiangere

In appena quindici giorni, intere generazioni hanno dovuto dire addio a figure che hanno segnato indelebilmente non solo la moda, la televisione e il giornalismo, ma anche l’immaginario collettivo di un’epoca. Giorgio Armani, Pippo Baudo, Emilio Fede: tre nomi, tre mondi diversi, un’unica certezza drammaticamente condivisa. La sensazione è che con la loro scomparsa si stia consumando il finale di un capitolo culturale che faticava a trovare eredi degni, aprendo così a un futuro incerto non solo per chi ha più di 65 anni, ma anche per i quarantenni e cinquantenni di oggi, che si trovano improvvisamente privi di guida, un po’ come accadde dopo la dipartita della Regina Elisabetta appena tre anni fa.

Lo psichiatra Claudio Mencacci, co-presidente della Società italiana di neuropsicofarmacologia e direttore emerito di Psichiatria presso l’Asst Fatebenefratelli-Sacco di Milano, non perde occasione per sottolineare come la morte di queste personalità illustri alimenti un’ansia collettiva sul futuro, perché rappresentano un ancoraggio culturale difficile da sostituire.

Quando la stilista Donatella Versace piange il “suo” Giorgio Armani, il paladino eterno del Made in Italy e re incontrastato della moda, e dice candidamente: “Per me era immortale, non ci posso credere. Mi sembra irreale”, non sta solo esprimendo dolore, ma ammettendo che finalmente la maschera dell’immortalità si è sgretolata, e con essa è crollata l’illusione condivisa da molti che il tempo potesse essere messo in pausa. È la fine di un’era. Mencacci sintetizza perfettamente la questione:

“Si tratta di renderci conto che siamo tutti ‘sotto lo stesso cielo’, innalzando non soltanto chi ci ha preceduto, ma affrontando con consapevolezza la nostra comune mortalità.”

La perdita di figure di tale calibro non è solo un lutto personale per i familiari o per chi ha vissuto a lungo con la loro influenza. È una specie di emorragia culturale per tutta la società, una faida contro la memoria collettiva. Non è un’esclusiva degli “over”, ma colpisce anche i più giovani, specie quei quarantenni e cinquantenni che hanno visto in Baudo, Fede e Armani i simboli viventi del cambiamento sociale e culturale degli ultimi decenni.

Con loro si chiude, senza troppi complimenti, un intero capitolo di cultura popolare del Novecento. La grande domanda, ovviamente rimasta senza risposta, è: chi mai potrà raccogliere un’eredità così ingombrante? Ma ecco la verità più ironica: proprio la loro scomparsa potrebbe diventare un’occasione di riflessione per le nuove generazioni — un invito a riscoprire, rispolverare e analizzare gli ultimi quarant’anni della nostra storia recentissima, quello che è stato l’ultima, grande stagione di creatività e influenza italiana nel mondo.

L’ultimo saluto affettuoso a Pippo Baudo, il “re” indiscusso della televisione italiana, o a Emilio Fede, riconosciuto con un eufemismo dal suo pubblico come “un bravissimo giornalista”, così come avverrà per il “Re Giorgio” il giorno dei funerali, non sono semplici rituali social. Come spiega Mencacci, questi momenti rappresentano un lutto collettivo che viene condiviso e sentito da migliaia, se non milioni, di italiani.

Per non parlare di Milano, che si è bloccata in un’omaggio quasi teatrale con rose, bandiere a mezz’asta e proclamazione di lutto cittadino nel giorno dedicato a Armani. Un’atmosfera plumbea che aiuta, secondo lo psichiatra, a interiorizzare il concetto che non siamo semplici individui soli al mondo, ma parte di una comunità che si compatta attorno a chi ha saputo incarnare una passione, una professionalità e una serietà da applaudire senza mezzi termini.

Insomma, in un mondo che corre sempre più veloce verso un presente iperconnesso e spesso superficiale, la scomparsa di queste icone funziona come un doloroso, ma necessario, richiamo a rallentare, a riconsiderare valori e riferimenti culturali, e – perché no – a domandarsi se davvero, dopo di loro, c’è ancora qualcosa che possa definirsi degna erede.

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