Quando politica e magistratura litigano e il Quirinale si ritrova nel mezzo senza volerlo

Quando politica e magistratura litigano e il Quirinale si ritrova nel mezzo senza volerlo

Magari erano perfettamente coscienti della «bomba» che stavano per far esplodere, oppure hanno agito con l’ingenuità tipica di chi non capisce la portata delle proprie gesta. In ogni caso, lo scontro innescato al Consiglio superiore della magistratura dai componenti laici di centrodestra sembra destinato a trascendere dalle solite zuffe tra la pattuglia filogovernativa del Csm e le toghe, coinvolgendo — indirettamente, ma mica troppo — persino il Quirinale. D’altronde, il capo dello Stato, in qualità di presidente dell’organo di autogoverno, ha quel piccolo dettaglio: deve approvare gli ordini del giorno del plenum. Compreso quello che è stato contestato e boicottato proprio dai consiglieri nominati da Fratelli d’Italia, Forza Italia e Lega, e che riguarda una procedura di tutela finita al voto con «un iter incredibilmente rapido, senza precedenti», un documento «esclusivamente politico che non fa certo onore né al prestigio né alla credibilità del Consiglio», contestato perché «è difficile non immaginare» che rappresenti una reazione isterica all’approvazione in Senato della riforma della magistratura appena varata.

Naturalmente, questa è una chiave di lettura tutta politica, che trascurerebbe quella piccola formalità per cui un atto che ha il placet del presidente della Repubblica rischia comunque di paralizzare l’attività del Csm. E infatti, finché non verrà esaminato l’ordine del giorno di ieri, e comunque qualunque sia il risultato dell’esame, il Consiglio non potrà fare un passo avanti, ad esempio per adottare quei provvedimenti che servirebbero a raggiungere gli obiettivi fissati dal Pnrr. I lavori sono dunque bloccati, come abbiamo visto ieri, quando il vicepresidente Fabio Pinelli ha dovuto constatare per ben due volte la mancanza del numero legale, sospendendo la seduta. Ovviamente, la riunione è stata riconvocata per stamattina, quando si spera che i suoi sforzi di mediazione possano produrre qualcosa di diverso da questo pantano ampiamente prevedibile.

La chiusura estiva è praticamente dietro l’angolo, la prossima settimana è già fissato un altro plenum, poi si va avanti a settembre. Se non si risolve il caos, l’unica soluzione sarà decretare lo scioglimento del Csm con l’indizione di nuove elezioni: peccato però che queste si svolgeranno ancora con l’attuale e pittoresco sistema di voto, uno dei tanti «guasti» che il governo e la maggioranza dicono di voler cancellare con la riforma che stanno approvando a colpi di acceleratore, ma che non vedrà luce prima di un anno.

Difficile immaginare che la scintilla che ha acceso la guerra tra magistrati e il loro ex compagno di merende, Carlo Nordio, ora ministro della Giustizia, potesse arrivare a fare questo casino. Incredibilmente, proprio lo stop imposto dai laici flirtanti con la maggioranza di governo è stato invocato dallo stesso Guardasigilli quando l’altra sera ha rilanciato le accuse contro il sostituto procuratore generale della Cassazione Raffaele Piccirillo per le sue opinioni sul caso Almasri. Anzi, ha commentato con tono da soap opera: «Quello che ho trovato ancora più scandaloso è che sia stato difeso da alcuni magistrati suoi colleghi, e peggio mi sento che il Csm abbia aperto una pratica a sua tutela».

E dire che stavolta la «pratica» non dava fastidio nemmeno al vicepresidente Pinelli, giacché lui, leghista doc e solitamente fedele alla maggioranza politica, tende a essere cinico di natura verso questa specie di “strumento di potere”. Invece, mentre difendeva la libertà di parola del tenace Piccirillo (che secondo Nordio avrebbe infranto le regole dell’ordinamento “parlando di un processo in corso”, anche se si trattava solo di un’analisi legale sui fatti nella saga Almasri senza toccare i presunti crimini per cui il ministro e i suoi soci di governo stanno sotto indagine al tribunale dei ministri), il documento – firmato praticamente da tutti i togati salvo tre spiriti liberi di Magistratura indipendente e dai laici esposti da PD, M5S e Italia Viva – voleva anche proteggere la Sezione disciplinare da insulti e attacchi degenerati.

A Nordio, che ha lanciato la solita bomba accusando il «tribunale delle toghe» di decisioni pilotate da tifoserie e correnti come in un derby calcistico, i consiglieri hanno risposto con fare da professori tirando fuori la solita litania: «L’allusione a una giurisdizione controllata da logiche correntizie e incapace di garantire imparzialità non è basata su alcun elemento reale, ma è solo una gratuita e sospetta infamia che mina la credibilità di una funzione costituzionale, alla quale partecipano anche i membri del Csm eletti dal Parlamento».

Qualche riga di replica stile educato ma deciso come quella di Pinelli della settimana precedente: ogni decisione, dice, si basa su «un’analisi rigorosa degli atti e sull’applicazione dei principi di diritto, senza la minima interferenza dovuta a appartenenze a gruppi o presunte “camere di compensazione” che il ministro ipotizza come fossero complotti da film noir».

Questa è la rampa di lancio per il documento con cui il Csm si arma di scudi e spade, stigmatizzando «la gravità delle affermazioni rilasciate dal ministro della Giustizia, considerate pericolose perché potrebbero incrinare la fiducia dei cittadini nell’intera magistratura». Insomma, un eloquente avvertimento: dichiarazioni così sono «idonee a influenzare negativamente l’esercizio sereno e indipendente della giurisdizione».

Segue dunque il solito rituale del «richiamo al rispetto dei principi di autonomia, indipendenza e leale collaborazione tra i poteri dello Stato». E ovviamente, mentre tutto ciò succede, il boicottaggio dei lavori procede speditamente, come da copione.

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