Giovanni Toti, ex governatore della Liguria, ha deciso di chiudere definitivamente la sua avventura politica, abbandonando persino la carica di presidente del Consiglio nazionale di Noi Moderati. Non prima di presentare le dimissioni nel corso della riunione odierna, dedicando parole al ruolo che, a quanto pare, non ha mai amato davvero ricoprire.
“Con la politica chiudo, ho deciso di voltare pagina”, dichiara con la solennità di chi annuncia l’arrivo dell’Apocalisse, probabilmente felice di scrollarsi di dosso un peso – non a caso legato all’inchiesta che lo costrinse, un anno fa, a lasciare la guida della Regione Liguria. Il momento è quindi quanto mai simbolico, e Toti sembra volerlo sottolineare declinando con puntualità una precisa aurea di distacco.
“È un ruolo che non ho mai esercitato. È giusto che lo lasci a chi ha voglia, tempo e passione”, dice con lo stesso entusiasmo di chi lascia l’eredità di un impero. E chi, secondo lui, sarebbe più adatto? “Consiglio di affidarlo a Ilaria Cavo, donna capace ed esperta, con la mia stessa visione politica.” Ovvero, nessuno se la prenda troppo a cuore: lui si defila, ma rimane l’influenza occulta, quella che non si vede ma si sente. Fidatevi.
Ma davvero si può mollare una passione? La risposta è un mix perfetto tra rassegnazione e autoironia: “Diciamo che anziché fare politica in prima persona, farò il telecronista.” Già, perché evidentemente la politica è come una partita che va guardata dal divano, con un bel telecomando in mano e magari un’agenzia di comunicazione da gestire mentre si scrivono qualche articolo qua e là. Insomma, il nuovo mestiere di Toti non è poi così lontano dal vecchio.
Non che fosse proprio quello il destino annunciato per lui, ma dal momento che il “terzo mandato” è finito nel cassetto, e che nessuno sembra aver avuto voglia di offrigli qualcosa di altrettanto “gratificante” come la presidenza della Regione, è meglio tagliare i ponti. Amen.
Nel tentativo di fare il leader nazionale, Toti ha fondato un partito, Cambiamo. Eh già, la storia gloriosa di un progetto politico destinato ad amplificare l’area moderata nel centrodestra – un concentrato di “forte gracilità”, come appunto ammette candidamente lui stesso. Chi, se non lui, avrebbe potuto pensare che fosse semplice tener su – o meglio – rafforzare quella patetica minoranza residuale che non smette di annaspare nei meandri dei giochi di potere? Spoiler: fallimento clamoroso.
Chissà se davvero servirebbe “un altro Berlusconi” per risollevare le sorti del centrodestra. Ecco che nutrendo un filo di speranza nell’eredità di Silvio Berlusconi, Toti ci tiene a precisare che “Pier Silvio non lo ha escluso”. Come dire: se in casa ci si mettesse d’accordo, niente è impossibile. Un pensiero che ricalca nostalgicamente l’epoca berlusconiana come se fosse stata la panacea definitiva della politica italiana.
Un tuffo nel passato, perché Toti non dimentica di raccontare la sua giovinezza politica, quella di un diciassettenne fresco di suonata alla porta di una sede oscura del PSI. Dopo qualche anno da dirigente dei giovani socialisti, che si è risolto nel nulla grazie a Mani Pulite e al disfacimento del partito, la sua parabola lo ha portato a essere scelto come consigliere da niente meno che Silvio Berlusconi stesso. Ma quella, come si suol dire, è un’altra storia, più adatta al racconto pettegolo che alla serietà delle cronache politiche.
Nel lontano 2013, con l’inizio del 2014 ormai alle porte, si respirava già una strana alchimia politica. Io, che allora ero al timone del Tg4, fui felicemente coinvolta in uno di quei rari momenti in cui Berlusconi, nel suo instancabile tentativo di rinnovarsi, decise di puntare su di me. Chi l’avrebbe mai detto?
Tra le tante perle di saggezza che Il Cavaliere mi regalò, spiccò un consiglio in particolare: “Devi dimagrire”. Parola di boss irresistibile. Peccato che, per quanto mi riguarda, quello sia stato uno sforzo degno di nota, ma con esiti ridicoli da tanto scarsi.
E ora, come vedo Forza Italia senza il glorioso e immortale Berlusconi? Ah, qui vien fuori il colpo di scena targato Antonio Tajani, che ha realizzato un’impresa titanica, soprattutto se consideriamo che nessuno – ma proprio nessuno – avrebbe puntato una lira sul suo successo. Un miracolo? Forse. Però, ecco la verità spietata: resistere è solo il primo passo, il minimo sindacale. La sopravvivenza è necessaria, ma non affatto sufficiente.
Ah quindi, cosa suggerirei? Facile. Serve una vera e propria rivoluzione di quelle magiche, come quella del ’94. No, non pensate a minuscole riduzioni fiscali dello 0,1%. Quello è un banale cerotto su una ferita gigantesca.
E io, onestamente, non ho rimorsi? Ma per carità, errori ne ho fatti a centinaia e con grande generosità. Però, per piacere, non chiamateli colpe morali o legali. Il patteggiamento? Non è mica un’ammissione di colpa, bensì il primo trucco del mago quando gli si chiudono le porte in faccia.
Sarà pure vero che il mio modo pungente e invasivo non ha raccolto applausi né abbracci calorosi. Ma rimango fermamente convinta che la magistratura abbia completamente frainteso il nostro metodo politico. Non voglio puntare il dito, eh. Solo che c’è una schifosa “zona grigia” che, guarda caso, è quella stessa che oggi viene contestata a Beppe Sala. Che coincidenza, no?
Ah, parlando di Beppe Sala, lo difesi con ardore. Non ho mai capito cosa pensi la maggioranza che lo sostiene: sono orgogliosi del cosiddetto “modello Milano” o no? Se sì, allora un minimo di supporto al sindaco e alla sua giunta sarebbe carino. Altrimenti, che vadano a casa tutti senza indugi. È così semplice.
Al fondo di tutto, comunque, c’è un’ovvietà da ricordare: per distribuire ricchezza, prima qualcuno deve produrla. Ma al contrario, ha preso piede una visione manichea–l’avidità, quella famosa, diventa “il male”. Nulla di più sbagliato. Se non fosse per quella “avidità”, nessuno si ritroverebbe con qualcosa in tasca, tantomeno chi ha meno. Ah, e per favore, le scelte politiche non vanno giudicate da chi indossa la toga. Verità scomoda, vero?


