Carceri intasate? Nordio scopre l’acqua calda: un detenuto su tre sballato, ora tocca alle solite misure alternative

Carceri intasate? Nordio scopre l’acqua calda: un detenuto su tre sballato, ora tocca alle solite misure alternative

Si parla di misure alternative per far uscire dal carcere ben diecimila detenuti. Diecimila! Quelli che oggi sono rinchiusi oltre i 61.000 in istituti che sembrano scatole di sardine, dove quasi il 32% è alle prese con dipendenze da droga o alcool. Segno evidente che, tra un sovraffollamento e un malessere psichico, qualcuno dovrebbe davvero fare qualcosa prima che il prossimo appello finisca nel nulla.

Carlo Nordio, il nostro Guardasigilli, si lancia in un annuncio solenne: un piano per arginare il sovraffollamento, che toccherà ogni aspetto: dall’edilizia carceraria, che sembra una priorità inespressa da decenni, alla detenzione differenziata per tossicodipendenti, e forse pure una riforma sulla custodia cautelare che – sorpresa! – arriverà più avanti, perché qui tutto procede a rilento e a spot.

Non mancano le dichiarazioni da manuale di diritto: niente scarcerazioni lineari, ma un… udite udite… «esame di diecimila posizioni per carcerazioni differenziate», che lasciano la decisione finale in mano alla magistratura di sorveglianza, ancora una volta ringraziata per la fatica di lavorare in condizioni pietose. Tradotto: gente che fa miracoli con meno risorse di un supermercato scontato, mentre si studia come attenuare il dramma del sistema carcerario.

E se pensavate che le sorprese fossero finite, Nordio si è anche divertito a commentare l’inchiesta sull’urbanistica a Milano. Risultato? «È una porcheria che notizie riservate saltino fuori su giornali e media». Chiarissimo: la trasparenza va bene, purché non tocchi fastidiosi sindaci e potenti. E se poi ti scopri indagato dai giornali, beh, non resta che lamentarsi – mica dimettersi, naturalmente. Perché dimettersi sarebbe troppo semplice, e qui si punta all’ironia politica più sottile.

Ah, il dolce suono dell’onore politico: la magistratura bussa alla porta e il nostro caro Guardasigilli ci ricorda, con premura quasi paterna, che avvisare di garanzia non deve assolutamente trasformarsi in un pretesto per le dimissioni. Perché, attenzione, “altrimenti ci metteremmo davvero nelle mani della magistratura”. Un ragionamento da standing ovation, se non fosse che lascia capire quanto qui la separazione dei poteri sia un optional più che un principio fondamentale.

Nordio, con la sicurezza di chi ha già deciso che la responsabilità è altrove, ci regala un consiglio fondamentale: serve una “profondissima revisione del segreto istruttorio”. Naturalmente, per scoprire chi, tra i tanti, ha osato far trapelare notizie riservate. Peccato che, ovviamente, il giornalista non sia mai colpevole, anzi, è solo un diligente esecutore del proprio lavoro. Ogni colpa è sempre dell’anonimo “colui che diffonde”. Insomma, possiamo dormire sonni tranquilli se smascheriamo il colpevole della fuga di notizie, perché tanto il potere politico non rischia nulla.

Rivedere il segreto istruttorio, dice. Perché chi ha potere teme più la trasparenza della propria inefficienza o, peggio, delle proprie ignominie. Se la magistratura si permette di fare il suo mestiere lontano dagli occhi di chi invece dovrebbe rispondere alla legge, ecco che subito il grido di allarme: “Stiamo cedendo la nostra sovranità a chi indaga”. Già, perché evidentemente il principio dell’indipendenza giudiziaria vale poco quando mette a rischio i burattini al comando.

Una commedia brillante, con i protagonisti che recitano a soggetto come se i problemi della giustizia italiana fossero solo una questione di fughe di notizie. Mai una parola sui reali nodi come la lentezza dei processi, l’esercizio di continue pressioni politico-giudiziarie o l’utilizzo strumentale delle indagini per finalità politiche. No, meglio accusare il “cattivo” capro espiatorio e ripetere come un mantra che i giornalisti sono carne da macello, mentre i veri colpevoli siedono comodamente ai loro posti.

Benvenuti nell’Italia del politicamente corretto applicato alla giustizia, dove mettere mano a una riforma vera significherebbe magari rischiare un po’ di trasparenza e responsabilità, ma così si potrebbe smantellare l’immunità dallo scandalo che garantisce a troppi di galleggiare tranquillamente. Altrimenti, come direbbe il nostro Guardasigilli, “guai se avviso di garanzia portasse a dimissioni”. E viva la coerenza, allora!

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