Bocciato. Semplice, netto, senza appello. Il rendiconto finanziario del Comune di Avellino è stato affondato al Consiglio comunale con un voto che si è trasformato in una sonora condanna per la sindaca Laura Nargi. Diciotto contrari, solo quindici favorevoli: un risultato che non lascia spazio a interpretazioni. La maggioranza? Sparita nel nulla. Risultato: dopo un anno al timone, la sindaca è già a un passo dal crollo amministrativo e il capoluogo dell’Irpinia sarà affidato a un commissario prefettizio. Eh sì, niente di meglio che una bella nomina da Roma per traghettare la città verso nuove elezioni.
Il voto decisivo? L’ha dato Rino Genovese, consigliere del Patto Civico, che ha seppellito il rendiconto con un “no” netto. Ma non è finita qui: anche Ettore Iacovacci, consigliere del PD, ha scelto di votare contro, in un gesto che sa tanto di malinconico addio alla possibilità di recupero. Un voto che comunque non avrebbe cambiato le sorti del bilancio, ma che fotografa perfettamente la situazione di un’amministrazione in disgrazia.
La partita si è aperta alle 17:30 di un pomeriggio che passerà alla Storia come quello in cui l’amministrazione di Avellino ha definitivamente perso la sua maggioranza. Presenti tutti gli “eroi” del consiglio, con due ingressi ritenuti a favore della sindaca: Gerardo Rocchetta e Mario Sorice, passati alla schiera degli indipendenti. Due voti in meno da contare fra i nemici, almeno sulla carta. Peccato però che il numero magico per far passare il rendiconto fosse 17, compresi i voti del presidente del consiglio comunale Ugo Maggio e, naturalmente, della stessa sindaca. Sommati, i sì sono arrivati invece a quota 15. Numeri che non lasciano spazio a speranze.
Ma ecco il colpo di scena degno di un film tragicomico: a votare contro sono stati proprio i consiglieri vicini all’ex sindaco Gianluca Festa. Quelli che avevano addirittura appoggiato la candidatura di Laura Nargi alle ultime elezioni. Vi ricordate? Quando il buon Festa era ai domiciliari, coinvolto nell’inchiesta “Dolce Vita”. Ora, però, il suo sostegno si è volatilizzato come neve al sole, lasciando la sua ex protetta a sbattere contro il muro dell’insuccesso. Festa, con un’apertura degna di una grande strategia politica, ha scelto di votare contro il rendiconto, sancendo così la fine della sua “eroina”.
Inutile il tentativo finale di Laura Nargi, che dall’aula ha lanciato il suo ultimo, disperato appello alla responsabilità istituzionale. «Avellino ci guarda», ha esordito con quella convinzione che ormai manca da tempo tra i banchi del consiglio. Poi ha provato a sventolare il vessillo del lavoro fatto, un esercizio forse un po’ stucchevole considerati i fatti: «Ho lavorato con senso del dovere per tenere unita una maggioranza, anche per chi non ha concesso il…
Salta fuori che tenere unita questa maggioranza era forse un’impresa da eroi tragici piuttosto che politica da camera ardente. Lo sgretolamento, anzi lo tsunami politico, è un chiaro segnale di una crisi interna che si trascina come una soap opera infinita e di cui il pubblico ha perso ogni interesse. Il “Patto Civico”, l’appoggio di due consiglieri e la speranza in un miracolo elettorale non sono bastati a evitare la débâcle del rendiconto.
Ora Avellino si ritrova senza guida, sospesa in un limbo di assenza di governo, in attesa che un funzionario statale prenda il timone fino a quando i cittadini non saranno chiamati a votare di nuovo. Una storia che profuma di déjà vu, triste epilogo di un anno di politiche fallimentari, schermaglie e tradimenti più prevedibili di un copione di bassa lega. Insomma, un capolavoro di discontinuità amministrativa da manuale.
Ah, il magico mondo della politica locale, dove un sindaco è talmente altruista da lavorare per tutti, anche per chi non lo sopporta. Come se bastasse un colpo di bacchetta magica per parlare a tutti e trovare il dialogo impossibile, naturalmente. E così, tra un «basta» e un’altra scelta “alta” di non vivere di rendita, ecco la fantastica rivelazione: non si vota un singolo, oh no, ma un bilancio consuntivo dall’alto valore politico. Come dire: votate il contenuto, non il contenitore che lo porta in giro come un trofeo fallito.
Nel teatrino del Partito Democratico, il consigliere Luca Cipriano ci regala la sua versione della trama da dramma greco: l’«ora più buia» di Avellino. Naturalmente non è colpa del PD (mai), ma di quella maggioranza che si è inventata come un vaso rotto che non regge più, tradendo se stessa. Il bilancio, per lui, è solo la foto patinata del disastro politico del signor Gianluca Festa, un vero capolavoro di insuccesso.
Non poteva mancare il richiamo alla legalità, forse l’unica certezza in questa giostra impazzita, portato da Nicola Giordano. Eh sì, la città va difesa, anzi, va “difesa laddove è stata offesa” — frase che suona come una minaccia velata o almeno un invito a mettersi gli elmetti prima di entrare in aula. E giù con il colpo di scena: se il Consiglio comunale non si farà parte civile in un eventuale processo, lo farà lui da solo, come un eroe solitario. Il suo no al bilancio? Motivazioni “diverse”, ovviamente: nessuno si riconosce né nel progetto originario né nel seguito, come chi non vuole ammettere che tutto il castello è carta da zucchero.
La ciliegina sulla torta politica la mette Rino Genovese, l’uomo che per un po’ sembrava potesse decidere il destino della maggioranza, ma che alla fine dichiara la sua fedeltà al fronte del “no”. Una vera bocciatura per chi non ha saputo metter mano alla gestione. Definisce il commissario un fallimento, ma alla fine il vero fallimento è chi si è seduto e ha lasciato il carrozzone andare alla deriva. Tutto ciò lasciando noi spettatori a godere dello show indegno, perché anche nella politica in stagnazione si può sempre fare peggio.