Sorpresa delle sorprese: mentre il decreto legislativo inaugurato il 15 luglio viene osannato come la svolta definitiva per le assunzioni negli uffici statali dell’Alto Adige, c’è un piccolo dettaglio che sembra sfuggire agli entusiasti del momento. Mentre alcuni festeggiano la fine dell’obbligo del patentino linguistico — questo salvagente etnico che ha spesso trasformato i concorsi in veri e propri cruciverba per chi non parla la lingua “giusta” —, si scopre tristemente che nelle pieghe dell’ordinaria amministrazione manca ancora l’essenziale: 300 figure professionali. Proprio così, trecento persone che dovrebbero essere lì a lavorare, ma che ancora oggi sembrano l’epopea di un’aspirazione impossibile.
In un mondo ideale, il requisito della proporzionale etnica servirebbe a bilanciare la composizione culturale e linguistica di una provincia che si vanta di essere un laboratorio autonomista tutto da imitare. Peccato che, nella realtà, questa “proporzionale morbida” cominciata a prendere piede solo ora sia più un salva-code per la burocrazia che un vero strumento per la meritocrazia e il funzionamento efficiente degli enti pubblici. Naturalmente, la deroga riguarda solo i servizi essenziali e i contratti a tempo determinato — perché la stabilità, si sa, è un optional nelle tragedie italiane soprattutto quando si parla di pubblica amministrazione.
Al momento del via libera, il ministro Roberto Calderoli (Lega) ha gioito pubblicamente per «impegni rispettati», come se avesse appena assegnato un Nobel all’efficienza statale. Un orgoglio condiviso da Alessandro Urzì di Fratelli d’Italia, che ha definito il decreto un «stimolo per la Provincia». L’apoteosi dell’entusiasmo virtuoso è stata raggiunta dal presidente della provincia, Arno Kompatscher della Südtiroler Volkspartei, che ha assicurato i partiti autonomisti: «Questa deroga non lede il principio della proporzionale, ma lo rafforza. È come la proverbiale eccezione che conferma la regola.» In parole povere, il paradosso mascherato da compromesso politico, condito da una buona dose di salva-faccia istituzionale.
Il meccanismo delle assunzioni, o come reinventare la ruota
Nel complicatissimo universo degli uffici statali altoatesini il gioco è semplice: per decidere chi assume chi, tutto ruota intorno alla sacra triade linguistica che è diventata il fulcro dell’identità provinciale: italiano, tedesco e ladino. Fin qui nulla di male, anzi, finché questo sistema non trasforma ogni assunzione in un groviglio di inhibizioni etniche, rallentando non solo l’accesso al lavoro dei giovani, spesso provenienti da altre regioni d’Italia, ma anche l’efficienza stessa dei servizi pubblici. C’è chi chiama tutto questo “tutela”, altri, con un pizzico di realismo, preferiscono parlare di paralisi.
Da qualche settimana, però, l’“eccezione” (leggasi: deroga) prevista dal decreto consente di eludere il vincolo linguistico nel reclutamento per servizi fondamentali o per contratti temporanei. No, non ci si stanca mai di distinguere i “servizi essenziali” dal resto, perché altrimenti questo Paese imploderebbe troppo in fretta. In realtà, basterebbe prendere esempio da altri contesti nazionali dove il personale pubblico si assume tramite concorsi regolari senza tante storie di proporzionalità etniche e appesantimenti burocratici degni di un romanzo kafkiano.
Trecento figure professionali… ma per favore, prendiamola con calma
Finalmente, ora che la deroga è attiva e il decreto legislativo è legge dal 15 luglio, i sindacati iniziano a fare i conti con la realtà: sì, è vero, il decreto può portare benefici, ma 300 figure professionali da inserire con urgenza sono ancora lì a guardare, come se fossero personaggi secondari in un film dove il protagonista ha solo dimenticato il copione. In pratica, mentre si fa festa sulla carta, la macchina amministrativa rischia di arrancare ancora, perché incoraggiare nuove assunzioni è bello, ma nessuno ha ancora pensato seriamente a garantire la stabilità — un concetto così astratto da sembrare quasi rivoluzionario in certi corridoi ministeriali.
Così mentre si celebra l’ennesima provvidenza legislativa, si dimentica che il vero problema di fondo resta: trovare chi voglia davvero e possa restare a lavoro, non solo colmare posti vuoti con contratti a tempo determinato che tanto faranno la felicità di un sistema già di per sé in balia delle emergenze e che cercano solo di tappare i buchi fino al prossimo guaio.