Heineken Italia e AstraRicerche hanno scoperto che i giovani italiani si dividono tra schiavi dello smartphone e nostalgici del bar di quartiere.
La rivoluzione sociale dei giovani è in pieno svolgimento: da una parte, i miracoli della tecnologia promettono nuovi mondi virtuali dove sguazzare tra like e messaggi; dall’altra, cresce quasi inspiegabilmente il desiderio di ritrovarsi faccia a faccia, in carne e ossa, senza filtri né emoticon. Ovviamente, protagonista indiscussa di queste riunioni è la birra, che sia alcolica o analcolica – perché non si lasci mai alcun dettaglio al caso – applaudita da più di un italiano su due come compagna insostituibile nelle ore di socialità.
Il sondaggio di Heineken Italia, con la scusa di promuovere la loro mission “true togetherness”, ha scoperto che la società degli ultimi cinque anni non ha scalfito il bisogno di socializzare. Anzi, per il 51,6% dei giovani intervistati, la socialità è diventata ancora più importante, quasi come una medicina contro la solitudine digitale.
Nonostante la fama mondiale dei social network come terra promessa della socialità, oltre il 75% dei giovani preferisce ancora incontri in carne e ossa, in luoghi che non siano soltanto uno schermo luminoso. Il 57,5% frequenta bar, locali, ristoranti, cinema, palestre e parchi, tutti posti di ordinaria sopravvivenza sociale, mentre il 31,3% riesce a socializzare tra una pausa e l’altra al lavoro e il 14,8% durante le interminabili ore universitarie.
Con grande sorpresa, i social media classici vengono battuti dalle più umili e meno glamour app di messaggistica e chat di gruppo: 43,8% contro 32,9%. E tolto qualche entusiasmo iniziale, quasi la metà di questi giovani (48,3%) accusa proprio queste piattaforme di aver danneggiato la qualità delle relazioni. Eppure, inspiegabilmente, il 62% continua a segnalare i social virtuali come un posto dove incontrarsi e scambiare idee, anche se quasi due terzi di loro riconoscono che è un terreno pieno di insidie e negatività.
Tra una corsa al lavoro e un impegno universitario, non è raro che il tempo per gli amici sia quello che manca di più: ben il 27,7% confessa di ritagliarsi meno di quattro ore a settimana per la propria vita sociale. Non che stupisca: tra mille incombenze, il socializzare è diventato un lusso da concedersi a fatica.
Alfredo Pratolongo, Corporate Affairs Director di Heineken Italia, tira fuori la filosofia di turno:
“Negli ultimi anni, il modo di vivere la socialità è cambiato tra i giovani italiani. E questa ricerca conferma che la socialità fisica rimane un valore imprescindibile per Gen Z e Millennials, nonostante la velocità del cambiamento generata dalle iperconnessioni, dalle tecnologie e dai media virtuali. Ma ci dice anche qualcosa di più profondo: oggi c’è un bisogno crescente di connessioni vere, sentite, reali.”
Ovviamente, non poteva mancare il richiamo alla birra, simbolo del megafono sociale targato Heineken:
“Come azienda produttrice di birra, bevanda simbolo della convivialità,”
Fate voi il resto. Ma ormai è chiaro: tra smartphone e bicchieri, i giovani italiani stanno cercando disperatamente di non perdere la capacità di socializzare per davvero, mica che qualcuno finisca per parlare solo con un avatar.
Ah, la birra: quella magica pozione capace di mettere insieme generazioni, culture e stili di vita diversi, come se un buon boccale potesse davvero risolvere tutti i conflitti esistenziali. Da ormai un secolo e mezzo, la missione è nobile e benedetta dal marketing: riportare al centro della scena la tanto agognata “dimensione umana dello stare insieme”. E come dimenticare il glorioso scopo di “creare il piacere di stare insieme per ispirare un mondo migliore”? Da non credere, vero?
Il 79,9% della vivace Gen Z e dei Millennials riconosce la birra come la Toccata e Fuga privilegiata nei momenti sociali con gli amici, mentre per il 55% degli italiani tra i 18 e i 45 anni questa bevanda è la Regina incontrastata delle compagnie. Al secondo posto, con grande clamore, troviamo i soft drink e le bevande analcoliche (un modesto 48,6%), mentre il vino e i superalcolici scivolano verso una posizione da comparsa, con rispettivamente 21,3% e 20,6%. Sorprendente, poi, che uno su quattro (un vero esercito di degustatori) si conceda una birretta settimanale in compagnia.
Perché questa fedeltà? Beh, la risposta è ovvia: il gusto, quel magico 52,1% che batte ogni altra motivazione. Segue un più frivolo “perché fa parte delle abitudini” (35,1%), e poi la mitica scusa del “è il drink ideale in compagnia” (25,9%). Infine, si sottolinea la sua insostituibile abilità di compagna di tavola (23,7%), grazie alla bassa gradazione alcolica – un dettaglio fondamentale per chi coltiva pure la nobile arte del binge eating.
“Dalla nostra ricerca, emerge chiaramente che quando i giovani tra 18 e 45 anni si incontrano, mangiare e bere in compagnia sono le attività predilette, con la birra come protagonista indiscussa.” Sorride Pratolongo, dipendente perfettamente addestrato nel glorificare l’arte dell’imbottigliamento, e continua: “La birra, con la sua versatilità e accessibilità, non accompagna semplicemente la socializzazione, no no, la promuove, la ispira e, perché no, la rende persino migliore.”
Ma cos’è poi questa “socialità” per i giovincelli d’oggi? Prima di tutto un po’ di svago (62,6%), dopodiché la condivisione di hobby e passioni (45,4%) e, ciliegina sulla torta, il conforto psicologico (37,9%), con tanto di valori e ideali condivisi (31,5%). Insomma, la socialità è seriamente una questione di joie de vivre e terapia gratis.
Però, smettiamo un attimo con gli elogi e tuffiamoci nelle magagne. Solo il 48% degli intervistati tiene la socialità come elemento essenziale della propria vita – un dato che già farebbe rabbrividire al bar sotto casa. Meglio ancora, il 63% ammette di sentire la vita sociale più come un impegno stressante che un piacere. Come se non bastasse, il 25% teme il giudizio altrui, il 17,2% suda freddo all’idea di un conflitto e un altro 17% si preoccupa di non soddisfare aspettative altrui. Insomma, un quadro idilliaco degno di un capolavoro drammatico.
Michela Filippi, Marketing Director di Heineken Italia, non manca di sottolineare il grande dramma sociale: “I giovani italiani si sentono spesso intrappolati nella loro piccola bolla sociale e spingerli a uscire può rendere la loro vita più stimolante e soddisfacente. Perciò, ritorniamo a mettere l’essere umano al centro dello stare insieme. Con i nostri brand, creiamo esperienze che vanno oltre il semplice bere, valorizzando la condivisione autentica e il ruolo sociale della birra.”
Non mancano le chicche di marketing, ovviamente. Con Birra Moretti, si celebra la “convivialità informale” e la “bellezza della condivisione autentica”, quel senza-filtri di cui tutti sentivamo il bisogno. Con Heineken, invece, si lancia la sfida a dimensioni più d’epoca digitale: campagne come “The Boring Phone” e “Bar Dating” invitano i giovani a superare le barriere tecnologiche (che immancabilmente causano l’isolamento) per una “vita sociale più ricca, stimolante e appagante”. Bellissimo, vero? I brand che si ergono a salvatori delle nostre vite sociali, mentre noi ci stiamo dietro con un bicchiere mezzo vuoto.
In definitiva, all’interno di questo spettacolo mediatico di autenticità e connessioni, la birra rimane quell’eroina silenziosa che non solo disseta, ma, a giudicare dagli sforzi titanici del marketing, dovrebbe anche aggiustare la nostra vita sociale… o almeno farci dimenticare che siamo socialmente un po’ persi. E questa sì che è una buona notizia.