Nella zona euro valgono regole uguali per tutti, ma a quanto pare qualcuno riesce ad essere “più uguale” degli altri. Martedì Berlino ha siglato un “gentile” accordo con la Commissione Europea per modificarle a suo piacimento, in modo da rendere legittimo il mastodontico piano di riarmo da 850 miliardi di euro. Soldi che saranno raccolti tramite un nuovo indebitamento pubblico da record. La trovata di Bruxelles? Aumentare la crescita potenziale tedesca dal 0,5% allo 0,9%, giustificando così la maggiore spesa come se fosse capace di far “lievitare” il Pil a sufficienza da mantenere sotto controllo il rapporto debito-Pil, nonostante il debito stesso aumenti. Insomma, un vero e proprio addio alle sacre regole dell’austerità, quelle che imponevano sacrifici austeri a popoli diversi da Atene, per esempio.
Naturalmente, non importa alla Commissione se la spesa in armi rappresenta poco più che consumo effimero e non investimenti produttivi. Quel denaro non serve a rafforzare l’economia reale tedesca, bensì è una fiammata temporanea destinata a esaurirsi rapidamente. E non è che il contesto globale sia di quelli da fare i salti di gioia: le trattative commerciali tra Ue e Stati Uniti sono tutt’altro che rosee, e Berlino ostenta un’insistente caparbietà nel difendere un modello economico che si reggeva su presupposti – energia a basso costo dalla Russia e la Cina come mercato, non come competitor – ormai scomparsi nel nulla.
Perfino la Bundesbank, la banca centrale tedesca, ha gettato acqua sul fuoco, segnalando che nel secondo trimestre dell’anno l’economia tedesca “mostra ancora chiari segni di stagnazione” e che “nonostante alcuni segnali di ripresa, ad esempio nella produzione industriale, la situazione complessiva invita alla massima prudenza”. Aggiunge poi un’avvertenza: “Se l’aliquota tariffaria ora annunciata – quella del 30% voluta da Trump – entrerà in vigore, costituirà un rischio considerevole al ribasso per la crescita tedesca”.
Nel frattempo il più influente quotidiano economico tedesco, Handelsblatt, non ha risparmiato dure critiche. Secondo il giornale, “sulla base delle sole cifre, il piano di indebitamento tedesco può considerarsi compatibile con le regole europee solo con molta fantasia”. E rincara la dose accusando la Germania di “strapazzare selvaggiamente le norme Ue sul debito pubblico”. L’economista Lars Feld, che ha ricoperto il ruolo di consigliere per l’ex ministro delle Finanze Christian Lindner, avverte che questa strategia non solo è pericolosa sotto il profilo economico, ma rischia anche di minare la coesione interna dell’Unione Europea.
Un’illusione da 850 miliardi e il miraggio della crescita
Per la Commissione Ue la soluzione è semplice: se la crescita potenziale aumenta, si può permettere più debito. Peccato che aumentare quel parametro non sia un gioco da ragazzi e “sperare” che il maxi-spending militare crei una spinta duratura all’economia è quantomeno azzardato. La realtà? Quel tipo di spesa è per definizione temporanea e non crea quei moltiplicatori di crescita su cui si basa qualsivoglia programma di investimento pubblico serio. Lo sanno bene le economie mature: le spese militari sono fuori dal paniere degli investimenti produttivi.
Insistere a giustificare questo riverbero di spese come “crescitina” serve solo a rassicurare gli occhi burocratici di Bruxelles, che colgono l’occasione per fare un episodio di flessibilità senza precedenti, ma ridicolizzando le sue stesse regole, create per tenere in scacco le finanze pubbliche e proteggere la stabilità economica.
Berlino al bivio: tra nostalgia e delirio strategico
Mentre la Germania si illude di essere onnipotente con il suo arsenale da 850 miliardi, il contesto internazionale la sottopone a infiniti stress. L’era dell’energia economica proveniente dalla Russia è finita, e la Cina si sta facendo sempre più dura come concorrente, quasi una nemesi sul suo stesso suolo produttivo. Il fatto che Berlino continui ad aggrapparsi a schemi ormai obsoleti testimonia una grave miopia strategica.
La tensione con Washington continua pericolosamente a montare, con la minaccia di tariffe doganali torrenziali che potrebbero affossare ulteriormente un’economia già da tempo in affanno. L’allarme della Bundesbank non è affatto da sottovalutare: mettono in guardia su una stagnazione persistente e rischi crescenti, bollando le promesse di crescita tedesca come aria fritta.
Se la Germania pensa di poter riscrivere le regole fiscali dell’Unione lasciando agli altri il compito di sottostare agli austeri diktat, si sbaglia di grosso. Il malcontento in Europa monta e nessuno dimentica come, sotto la maschera della flessibilità, possa nascondersi un precedente pericolosissimo, apripista a successive smagliature nella tenuta finanziaria europea.
Le concessioni di Bruxelles promettono un “impatto negativo sugli sforzi degli altri Stati membri per mettere in ordine i loro bilanci nazionali”. Oh, ma che sorpresa! La Germania in questo momento si vanta di un rapporto debito/PIL del 63%, appena sopra la soglia europea del 60%.
Ma aspetta, la cosa diventa più interessante: “Se il governo dovesse approfittare del nuovo margine di manovra, il livello del debito potrebbe schizzare oltre il 70%, con alcuni economisti che ipotizzano addirittura il 90%”. Ovvero, niente da fare per la sacra regola del rigore tedesco, ora il gioco si fa tutto in famiglia, con numeri decisamente più rilassati.
Ecco la vera chicca: in teoria, ciò che vale per uno dovrebbe valere per tutti, ma già si sente fumare dalle orecchie dei vari stati membri che ora si preparano a scartoffiare l’intramontabile lista delle mille scuse per eludere le regole economiche. La Francia, da brava protagonista, è pronta con l’elenco delle eccezioni da opporre agli inevitabili rilievi della Commissione.
In soldoni, parliamo di un allentamento dei vincoli su deficit e debito, una musica vecchia e ben conosciuta, tessuta da chi in passato ha pregato, implorato e sputato sangue per ottenerla — e guarda un po’, ora che l’ha ottenuta, è tutto targato “esclusiva Germania”.
Con questa decisione, Bruxelles ha ufficialmente “perso il tocco” e riscritto la grammatica del rigore europeo. Ma calma, non è ancora un “liberi tutti”: i mercati, quelli sì, restano vigili più del solito, pronti a punire chi osa fare il furbo sulla pelle dei bilanci pubblici.