Cartier snobba i dazi e rilancia: vendite in crescita del 10% come se niente fosse

Cartier snobba i dazi e rilancia: vendite in crescita del 10% come se niente fosse

Se pensavate che il lusso stesse affondando sotto la pressione delle tensioni geopolitiche e delle crisi commerciali, ecco una bella doccia fredda: Richemont, l’impero della gioielleria che possiede tra gli altri Cartier, continua a vendere come se nulla fosse, anzi, le sue vendite sono in crescita, e pure robusta.

A fare da locomotiva ci pensano proprio i due marchi più blasonati, Cartier e Van Cleef & Arpels. Questi gioielli della corona del gruppo svizzero hanno messo a segno un aumento delle vendite superiore al 10% per tre trimestri consecutivi. Se vi stavate chiedendo chi sostiene i conti di Richemont, ecco la risposta: gioielli di lusso che valgono oro, letteralmente.

Ma la festa non è per tutti. Il resto del gruppo, infatti, non naviga nelle stesse acque cristalline: i ricavi degli orologiai specializzati hanno perso il 7%, mentre i settori moda e accessori hanno fatto un timido passo indietro dell’1%. Insomma, a tenere a galla la barca ci pensano solo i brillanti, altrimenti sarebbe un’altra storia.

Se aguzzate la vista e togliete il disturbo delle fluttuazioni valutarie, le vendite complessive di Richemont nel trimestre finito a giugno mostrano un aumento del 6% rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente, sfiorando i 5,4 miliardi di euro. Cifre che fanno pensare: tra tensioni economiche globali e guerre commerciali, qualcuno deve pur continuare a comprare collane e anelli, evidentemente non è la massa ma chi di portafoglio ne ha a sufficienza.

Uno che mastica numeri e strategie, Jean-Philippe Bertschy, analista di Vontobel, non si contiene dall’elogiare questo andamento. Secondo lui, i risultati di Richemont sono rassicuranti, soprattutto se messi in relazione a quelli di altri protagonisti del lusso. Il predominio e la crescita della società nel segmento della gioielleria sono, secondo il suo giudizio, semplicemente impressionanti. Ah, e per chi temeva la crisi in Asia, soprattutto in Cina, ci sono addirittura “primi segnali di stabilizzazione”, merito soprattutto delle vendite di orologi che ora tengono banco nella regione.

Parlando di numeri geografici, il gruppo svizzero registra un aumento dei ricavi tra il 11% e il 17% nelle Americhe, in Europa e in Medio Oriente. Nel frattempo, in Asia-Pacifico, il mercato più in vista e dominato dalla Cina, le vendite restano piatte a parità di cambio. E poi c’è il Giappone, il paradiso caduto dal suo piccolo piedistallo di crescita a doppia cifra dello scorso anno, schiaffeggiato da un ritorno alla “normalità” e da uno yen meno favorevole, che ha fatto calare i ricavi del 15%.

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