Alla Montelungo, per ora, c’è solo un pezzo di pietra firmato con pennarelli. Brillantissima cerimonia della posa della “prima pietra”, con tanto di servizi fotografici ufficiali e stretta di mano tra gli illustri presenti. Il vero inizio dei lavori? Previsto per novembre, dopo anni di infinite peripezie contabili. Perché mettere d’accordo Demanio, Comune, Università e l’imperdibile Cassa Depositi e Prestiti è stato un vero gioco di equilibrismo finanziario: una gigantesca partita immobiliare fatta di passaggi tra enti pubblici e para-pubblici degna di un romanzo. A Bergamo, una volta ancora – chiaro esempio sono gli ex Riuniti diventati sede della Guardia di Finanza, l’ex Accademia della Gdf passata all’Università, e il recentissimo trasloco dell’ex sede dei Servizi sociali in via San Lazzaro alle Dogane – si conferma con vigore che senza un euro pubblico le grandi riqualificazioni restano solo sogni di gloria.
L’eredità che pesa: progetti, meriti… e seccature
Le ex caserme Montelungo e Colleoni, gemelle in decadenza, diventeranno uno studentato, con aule e spazi comuni per universitari. Tutto a pochi passi dalla rinnovata Gamec, perfetta realizzazione di quel “Polo della Cultura” che si trascina dai tempi antichi. Ah, e ovviamente è anche la grande chiusura del cerchio del decennio glorioso di Giorgio Gori. Ora tocca alla nuova amministrazione non far deragliare il treno di cantieri già in corsa: TEB, raddoppio ferroviario, nuove stazioni, linea per Orio, Gamec, Montelungo… roba da far ballare la testa solo a elencarla.
Un gioco crudele, questo della politica: se tutto va benissimo, chi sta al timone adesso si becca applausi, belle fotografie e i meriti (anche se magari di altri). Ma il sindaco, povero eroe, deve anche digerire le lamentele quando gli intoppi arrivano, anche se non li ha causati né per sbaglio. E allora i cittadini di Bergamo, tutti fedelissimi del cantiere eterno, sperano con tutta l’anima che questa frenesia da accaparramento fondi PNRR non si traduca in anni di infernale caos automobilistico a poche centinaia di metri dal centro. Perché, si sa, alla fine la porta a cui si bussa è sempre quella di Palazzo Frizzoni, che si prende tutte le grane e, si spera, anche qualche applauso di circostanza.
La città non è solo mattoni, strade e binari—ma questo lo sa benissimo Elena Carnevali, che sembra aver fatto delle relazioni umane il suo mantra politico-culturale e la colla di ogni discorso. In fondo, sarà proprio lì, nell’intricata rete di contatti sociali, che si giocherà la sua “impronta” sulla città. Un anno di mandato e cosa abbiamo visto? La sindaca si muove ora con più disinvoltura nel ruolo, ma attenzione: molti politici della città fanno l’errore di concentrarsi in modo esagerato sulla capacità comunicativa, quel minuscolo dettaglio che pure conta qualcosa. Contrariamente al mito del predecessore impeccabile, Gori era sorprendentemente aperto al dialogo anche informale con la stampa. Saper dire no, ascoltare un po’, mantenere le distanze senza diventare eremita: ecco la sua ricetta. Carnevali invece arriva sempre super preparata, immobilizzando il dialogo in un laboratorio senza sorprese. Più noioso? Forse. Ma il vero punto non è quanti dialoghi fai, bensì quali fatti poi racconti.
Dodici mesi non proprio scanditi da successi ininterrotti: qualche toppa da mettere (vedi il mago Carrara), qualche retromarcia difensiva. Prendiamo il caso recente della Ztl di Valverde: l’accesso di Città Alta sarà vietato alle auto, ma solo fuori dalle ore di punta. Un capolavoro di contraddizione che forse diventerà lezione di viabilità o forse resterà solo un pasticcio in etichetta green. Di sicuro significa: “Ehi automobilisti, non vogliamo farvi arrabbiare, anche se votate altrove”. Eh già, i voti lontani si tengono stretti quanto quelli vicini. Già l’anno scorso si era vista la stessa lungimiranza con lo slittamento del cantiere Italcementi per le piscine: solo per rimandare l’ira delle società sportive, felicissime di dover convivere con un intervento gigantesco e inevitabile. Un tocco di democristianesimo a sinistra, davvero innovativo. Poi c’è il parcheggio deserto alla Fiera e il fondo per gli under 35, lodevole sì, ma una goccia d’acqua in un mare dominato da affitti da Airbnb e amici.
Non si può certo dimenticare l’eredità di dieci anni di Gori, che pesa come un macigno o come un buon basamento sotto i piedi. Carnevali ha preso molte decisioni solo per dimostrare di essere in linea con il suo programma elettorale—e giustamente, purché si sappia che non è stata la piattaforma ad assicurarle la vittoria. La sindaca ha prevalso perché, oh sorpresa, è sembrata più convincente del diretto avversario e perché ha preso in consegna una macchina amministrativa ben oliata da un decennio. Nonostante il dramma del Covid e qualche scivolone, come il nuovo Sentierone meravigliosamente riuscito a far sparire alberi in piazza Dante per un ristorante sotterraneo chiuso dopo due anni. Nitide immagini per la città di oggi? Senza tetto stesi davanti a una serranda abbassata, icona di una città che si spaccia per più ricca e bella ma è più povera e inquietante.
La povertà si è espansa, si è dispersa e si fa comodamente un pisolino sotto i citofoni dei palazzi centrali. Chi abita lì si chiede perché il diritto ad avere un tetto sopra la testa debba superare quello di non ospitare estranei sotto la propria finestra pagata a peso d’oro. Emarginazione? Sicurezza? Semplice: si tratta di entrambe, messe sullo stesso triste piano. La giunta di Gori almeno su questo sembrava un po’ più consapevole. Quella di Carnevali? Boh. In aula assistiamo a un teatro surreale in cui una destra superficiale affronta una sinistra pedante e fuori bersaglio, mentre il vero problema rimane comicamente svanito.
La sindaca e i suoi assessori però lo ammettono: la crisi sociale dilaga anche per colpa delle politiche statali latitanti, lasciando i comuni a fronteggiare un mare di problemi con le mani legate. Ma attenzione, su questo equilibrio instabile rimane ancora da discutere…
Questo è proprio il momento di mettere in chiaro una cosa: vogliamo rigore e disciplina. Non qualche cenno sommesso al rispetto delle regole, ma una pretesa ferrea da chiunque metta piede qui. Perché, diciamolo, anche i più compassionevoli tra i cittadini, quelli pronti a spalancare il cuore e pure il portafogli, prima o poi si chiederanno: “Ma per quale collettività sto facendo tutto questo?”
Ecco il paradosso: quando si arriva a questo punto – e sì, lo abbiamo già detto, si tratta di un gioco decisamente sleale – la prima porta da cui bussano quei cittadini stanchi e confusi è quella di Palazzo Frizzoni. Perché, naturalmente, a chi vogliono rivolgersi se non al cuore pulsante della loro amministrazione locale, quella che dovrebbe rappresentare ordine e buonsenso?