Boston Consulting Group intasca un milione per salvare Gaza via mare: un affare che fa discutere

Boston Consulting Group intasca un milione per salvare Gaza via mare: un affare che fa discutere

Quando si tratta di “aiuti umanitari” nella Striscia di Gaza, non sorprende scoprire che la parola “solidarietà” assume contorni grotteschi. Oltre a collaborare con Tel Aviv per pianificare un efficace “svuotamento” di Gaza – espressione edulcorata per un disastro umanitario annunciato – e a istituire la discutibile Gaza Humanitarian Foundation, un ente privato creato da israelo-americani per distribuire cibo, spunta un altro curioso dettaglio. La Boston Consulting Group (Bcg), celebre società di consulenza statunitense, si sarebbe aggiudicata un contratto da oltre un milione di dollari per partecipare a un progetto privato che prevede il trasporto di cibo via mare verso Gaza.

Se qualcuno si aspettava una dichiarazione di trasparenza o almeno un tentativo di giustificare tale partnership ha avuto un grosso scherzo della sorte: la Bcg ha deciso di non commentare l’intera faccenda. Intanto, il Financial Times – ormai fedele custode di queste retroscene – ci racconta che a collaborare con Bcg è stato il gruppo Fogbow, una rete privata di distribuzione degli aiuti, guidata da veterani militari degli Stati Uniti. Il progetto, finanziato dal Qatar, puntava a far arrivare i rifornimenti umanitari su chiatte che partivano da Cipro verso Gaza.

Il contesto sa molto di gioco delle tre carte: la Bcg si sarebbe preparata a intraprendere diversi interventi privati volti a scavalcare il sistema tradizionale guidato dalle Nazioni Unite, ovvero l’organizzazione più critica nei confronti dell’invasione e dell’assedio che stritolano la Striscia. Questo approccio, com’è ovvio, è stato duramente criticato da molte realtà umanitarie e dalla stessa Onu. Stranamente, a differenza del progetto legato alla Gaza Humanitarian Foundation, che vedeva impegnati partner della divisione difesa di Bcg negli Stati Uniti, l’operazione con Fogbow è stata coordinata da partner della società provenienti dall’Europa.

Secondo fonti interne, riprese dal quotidiano britannico, l’incarico ha seguito le procedure di accettazione cliente tipiche di Bcg, sottoponendosi a un rigoroso processo di supervisione interno con commissioni di revisione e valutazioni in tempo reale. Insomma, tutto perfettamente in regola nel mondo dei grandi affari, anche quando si parla di Gaza.

Però, attenzione, qui si apre un piccolo varco nell’ipocrisia: mentre la società ha smentito ufficialmente tutti gli incarichi legati alla gestione della situazione a Gaza, ha attribuito la responsabilità degli stessi solo a iniziative individuali di due dirigenti americani, ora dimissionari. Nel frattempo, il team Fogbow, formato da ex diplomatici e ufficiali militari degli Stati Uniti, ha sfruttato senza vergogna le proprie conoscenze nei governi statunitense, israeliano e di vari Paesi del Golfo per strappare i via libera israeliani necessari all’istituzione del corridoio marittimo.

Il tutto mentre la popolazione di Gaza continua a essere “assistita” da enti privati sponsorizzati da potenze coinvolte direttamente nel conflitto, offrendo allo stesso tempo un’immagine perfetta di come la commistione tra interessi economici, militari e umanitari possa diventare un cocktail esplosivo di conflitti d’interesse e cinismo istituzionale.

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