L’Opec ha appena rivisto al ribasso le previsioni sulla domanda globale di petrolio per i prossimi quattro anni, colpevolizzando il rallentamento cinese. Ma, udite udite, nel lungo termine vede invece una domanda in crescita, grazie ai Paesi in via di sviluppo che non sembrano affatto intenzionati a lasciare il greggio in soffitta. E, come se non bastasse, insiste che non c’è alcun picco imminente all’orizzonte, contraddicendo clamorosamente previsioni molto più catastrofiste di grandi firme come la BP o l’Agenzia Internazionale per l’Energia. Intanto, il cartello Opec+ continua a pompare più barili di petrolio, armato di tutta la sua fiducia per riconquistare quote di mercato perse durante gli anni di tagli orchestrati a sostegno dei prezzi. Ovviamente, tutto questo avviene in risposta allo storico rallentamento dello shale oil americano. Peccato però che questa ipotetica domanda a medio termine più “modesta” possa complicare la vita al gruppo, che dovrà mantenere gli altri tagli fino al 2026 per non ritrovarsi con la resa delle aspettative.
Secondo il World Oil Outlook 2025 dell’Opec, la domanda mondiale di petrolio dovrebbe aggirarsi attorno a 105 milioni di barili al giorno nel 2025, salire a 106,3 milioni nel 2026, per poi toccare 111,6 milioni nel 2029. Peccato che rispetto alle previsioni dell’anno scorso, si tratti di cifre ridimensionate: da 108 milioni nel 2026 a 700.000 barili in meno nel 2029, quasi a dire “sì, cresceremo, ma un po’ meno”. Insomma, una revisione al ribasso che si fa sentire, ma senza rinunciare all’ottimismo di facciata.
In netto contrasto con il tam tam di BP e AIE che annunciano il picco del consumo petrolifero in questo decennio, l’Opec – con il suo segretario generale Haitham Al Ghais – non solo nega qualsiasi segnale di saturazione, ma lo fa con grande cura, sottolineando il ruolo essenziale del petrolio nell’economia globale e persino nella nostra routine giornaliera.
Haitham Al Ghais ha dichiarato:
“Il petrolio sostiene l’economia globale ed è fondamentale per la nostra vita quotidiana. Non si prevede un picco della domanda di petrolio all’orizzonte.”
Nel rapporto si sottolinea inoltre che la domanda ha già recuperato i livelli pre-pandemici da Covid-19. Ma guai a pensare che il motore cinese resti a pieno regime: la crescita rallenta, colpa di una crescita economica più tiepida, dell’aumento veloce dei veicoli elettrici e delle infrastrutture per la ricarica, oltre alla crescente sostituzione del petrolio in diversi ambiti, come se la tecnologia e le nuove politiche ambientali esistessero davvero.
Di nuovo, la differenza tra Opec e AIE emerge soprattutto nelle previsioni a lungo termine: mentre l’Opec rimane ostinatamente convinta di una domanda media di 113,3 milioni di barili al giorno nel 2030, la AIE intravede invece un picco a 105,6 milioni nel 2029, seguito da una piccola flessione. Tradotto: nessuno è d’accordo su quando il calcio nelle ruote al petrolio si farà sentire davvero.
La principale speranza di crescita secondo l’Opec resterà nelle mani dell’india e delle regioni del Medio Oriente e Africa, quei luoghi dove la transizione energetica, diciamo, procede con passi da gigante… ma in direzione opposta. Del resto, l’uscita volontaria degli Stati Uniti dal patto climatico delle Nazioni Unite, insieme a un’imbarazzante lentezza nell’adozione dei veicoli elettrici nell’Unione Europea, gettano una bella ombra sulla tanto decantata “transizione verde.”
Per il 2050 l’Opec proietta una domanda di petrolio globale che toccherà i 122,9 milioni di barili al giorno, un numero persino superiore alle stime del rapporto precedente e ben più alto di quelle più “urbane” di altri grandi del settore, come BP. Per far fronte a questa immensa sete di petrolio, il settore avrà bisogno – rullo di tamburi – di investimenti colossali: 18,2 trilioni di dollari entro il 2050, in aumento rispetto ai 17,4 trilioni previsti nel 2024. Un modo nient’affatto sottile per obbligare tutti a continuare a fare i conti con il petrolio, almeno finché non si sarà trovato un passatempo più lucrativo.