“Centinaia di ragazzine minorenni che scatenano fanatismo collettivo, turbamenti vari e, naturalmente, distruggono la resa scolastica, causando anche tensioni familiari.” Ecco l’allarme lanciato in pompa magna. L’epicentro del disastro? Quel programpione televisivo chiamato Non è la Rai, che trent’anni fa chiudeva i battenti portandosi via con sé l’innocenza di migliaia di adolescenti. A denunciare questo cataclisma culturale fu niente di meno che un’interpellanza parlamentare del 15 settembre 1994, firmata dal giovane e preoccupatissimo leghista Enrico Hüllweck, che nel tempo si guadagnò la poltrona da sindaco di Vicenza.
Un politico navigato, certo, ma in quegli anni soprattutto un “padre in preda al panico” per via di un figlio adolescente che – ovviamente – trascorreva ore incollato davanti a Italia Uno, sognando di avere uno zainetto rigorosamente uguale a quello di Ambra (la star della trasmissione), tutto mentre migliaia di suoi coetanei condividevano il medesimo destino.
La denuncia di “turbamenti, fanatismi e responsabilità morali” suonerebbe più da sceneggiatura di una puntata di fiction in stile anni Settanta della Democrazia Cristiana che da muro contro muro di un parlamentare leghista anni Novanta. Ma no, era proprio il solito allarme ipocrita lanciato da una generazione di papà e mamme disorientati che non sapevano come mettere in riga melodie leggere e ragazzine in bermuda.
“Eh, diciamo che all’epoca c’era un certo fermento attorno a quel fenomeno chiamato Non è la Rai: la politica e il mondo dello spettacolo erano divisi da un fossato, mentre i genitori si arrovellavano tra ansie e pensieri,” racconta con il candore di chi già ha dimenticato la morale che fingeva di difendere.
Naturalmente, anche lei faceva parte della schiera dei genitori terrorizzati dal “potere di Ambra, Pamela, Ilaria e compagnia bella”?
“Ma certo. L’interpellanza è nata prima dal cuore di un padre disperato che da un uomo politico. Vedevo mio figlio appiccicato alla televisione nelle ore pomeridiane in cui avrebbe dovuto fare i compiti. Non stiamo parlando di una breve apparizione di venti minuti, ma di ore e ore di visione compulsiva. E, ironia della sorte, una volta terminata la dose quotidiana di Non è la Rai i ragazzi non ne avevano più voglia: distratti, confusi e con una sola ossessione in testa, uscire per prolungare quell’evasione illusoria.”
Immaginiamo che questa sua denuncia accorata abbia fatto faville e che i riflettori delle telecamere abbiano bussato alla sua porta, vero?
“Eh sì, un vero successo mediatico.”
Che classe, un programma televisivo che ha avuto l’ingegno di intervistare me e mio figlio, per poi includere anche le ragazze di Non è la Rai. Una talentuosa triangolazione in differita, perché niente dice “modernità” come parlare di più persone in momenti diversi e far finta che siano tutti sullo stesso palco.
Mio figlio, in un momento di pura disperazione artistica, temeva che il programma venisse davvero cancellato. Ricordo chiaramente la scena da film drammatico in cui abbraccia la televisione come se fosse un vecchio amico e mi implora: “Almeno Ambra non toglietemela”. Un appello straziante, degno di una telenovela, per salvare l’unica cosa che rendeva dignitosa quell’agonia mediatica.
Quando gli chiesi cosa avesse risposto il ministro Tatarella, la memoria mi riporta a un’aula parlamentare dove si consumava il teatro del senso: un dibattito intenso, con fazioni divise come in un’arena. Alcuni, magari più illuminati o solo più pragmatici, appoggiavano le mie critiche. Altri, chiaramente più impegnati a proteggere il proprio orticello dello show biz, difendevano gli spazi televisivi a oltranza. Insomma, niente unanimità, solo solite schermaglie di potere travestite da dibattito civile.
Se oggi un documento simile venisse prodotto, probabilmente farebbe una splendida figura come reperto archeologico: tutto talmente lontano dalla realtà da sembrare una sceneggiatura di fantascienza. Ormai nulla è più sotto controllo, almeno non come allora, ma, guarda un po’, le scuole si sono pure adattate all’idea rivoluzionaria di avere lezioni pomeridiane.
Quindi, nella teoria più audace, gli adolescenti dovrebbero passare meno tempo incollati allo schermo, che sia tablet o televisione. Un pensiero confortante, quasi commovente, una speranza che piace creder vera – perché sappiamo bene quanto il mondo reale sia fragile rispetto a quella terribile creatura chiamata “schermo”.
In un tocco di pietà verso il passato, sì, è vero: io e Ambra ci siamo “riconciliati”. Durante uno spettacolo ad Arzignano, suo paese d’adozione nei dintorni di Vicenza, nel 2017, è arrivata come ospite. Appena i nostri sguardi si sono incrociati, è riaffiorato tutto – la famosa interpellanza, il pandemonio mediatico di allora, gli scontri verbali, le accuse velate.
Abbiamo lasciato da parte ogni rancore (o almeno provato), ci siamo abbracciati e ce la siamo spassata ridendo di quell’epoca stramba. Un momento raro di bellezza in mezzo alla solita confusione. E sapete qual è stata la ciliegina sulla torta? Ho visto persino mio figlio tirare un sospiro di sollievo, come se anche lui avesse finalmente potuto liberarsi da quel tormento incollato allo schermo.