Perché i mercati si fanno un baffo dei dazi? Il mistero dell’effetto Taco che nessuno ti spiega

Perché i mercati si fanno un baffo dei dazi? Il mistero dell’effetto Taco che nessuno ti spiega

Gli analisti si divertono a inventare soprannomi per le stranezze dei mercati: l’ultimo mood chiamato “Taco trade” non è niente meno che l’ennesima chicca per spiegare l’insicurezza cronica degli USA sotto Trump in fatto di dazi.

Ti presento il fenomeno noto come “Trump si ritrae sempre”, o come l’hanno simpaticamente battezzato, «TACO»: ovvero, l’infinita farsa dello Tsar dei Dazi che urla minacce di tariffe stellari su importazioni straniere, soprattutto europee, salvo poi tirare il freno e rimandare tutto al giorno dopo o pochi giorni più tardi. La situazione è esemplificata da quella scena tragicomica in cui Trump annuncia dazi al 50% sull’UE da giugno, il mercato implode, ma un attimo dopo arriva il rinvio a luglio, lasciando tutti a chiedersi: ma chi decide davvero?

La saga va avanti, i negoziati si protraggono (senza soluzione all’orizzonte), ma i mercati sembrano impassibili e persino pieni di speranza. Il motivo? Realtà molto semplice: Washington dimostra un limite di pazienza molto basso quando la pressione economica si fa viva e, di solito, la soluzione è sempre la stessa: marcia indietro. Benvenuti nel mondo dove “fare l’elefante nella cristalleria” significa annunciare puttane per poi smorzare tutto con delicata inconsistenza.

Justin Wolfer, da buon professore di economia alla Ford School of Public Policy dell’Università del Michigan, coglie bene la sostanza del caos: “Prima il mercato dava per scontato che un ordine del presidente mantenesse senso da un giorno all’altro. Ora non più.” Tradotto: gli operatori sono diventati scettici, persino cinici, di fronte allo show mediatico dell’inquilino della Casa Bianca.

Let’s hear Neil Wilson di Saxo Markets, che ci dipinge il quadro con un sorriso amaro. La “Taco trade” è quel gioco tossico dove Trump annuncia un cataclisma, poi all’ultimo momento ci evita il disastro gridando trionfante: “Vi ho salvati!”— come un eroe di b-movie con la maschera da patriota.

Se guardiamo a ciò che è successo in questi ultimi giorni, vediamo Wal Street sbuffare con un calo modesto dopo le minacce di dazi lanciati a destra e a manca, dal Giappone alla Corea del Sud e a una manciata di altri Paesi, tariffe che dovrebbero scattare il primo agosto.

Ma niente panico: i mercati non si scatenano nemmeno quando il presidente propone di imbarbarire ulteriormente la situazione con dazi del 50% sul rame, ipotesi folli di tariffe fino al 200% nel settore farmaceutico, e qualche 10% di accanimento contro i membri del BRICS, ovvero Brasile, Cina, India, Russia e compagnia bella. Un vero e proprio show di sparate che sembrano più minacce da bar che politica commerciale seria.

Ed Mills, analista politico di Raymond James, riassume perfettamente lo spirito della faccenda: alla fine, nessuno crede davvero che tutti questi dazi entreranno in vigore. Il mercato ha capito bene la musica: si continua con la Taco trade, cioè il gioco delle “sparate minacciose e immediati passo indietro” che sorprendentemente mantiene tutto sommato stabile lo scenario economico.

Ah, la genialità della logica commerciale di Wall Street, acronimo TACO, che sembra avere una falla così evidente da far dubitare persino uno stagionato detective economico. La questione è semplice: se tutti gli investitori puntano sulla ritirata di Donald Trump, allora non scoppierà alcun panico nei mercati. E senza panico, nessuno mette davvero il presidente americano alle strette, nessuno lo costringe a fare marcia indietro su quelle politiche che, guarda caso, mettono a rischio l’economia (e soprattutto i profitti delle aziende). Seh, un gioco da ragazzi.

Mills commenta a dovere: “È un gioco pericolosissimo quando bisogna affidarsi alla reazione dei mercati per cambiare una politica.” Tradotto: speriamo che il mercato si agiti abbastanza da far tremare il capo della Casa Bianca, o siamo fregati.

Kasper Elmgreen, direttore degli investimenti in azioni e reddito fisso di Nordea Asset Management, ha il piede sull’acceleratore della preoccupazione. Secondo lui, “stiamo assistendo al più imponente aumento dei dazi doganali della memoria”, ma stranamente “l’atteggiamento è fin troppo rilassato.” Come dire: il gigante dal volto severo sta scattando le dita e gli investitori sembrano intenti a giocare a carte, incuranti.

Che cos’ha di preoccupante questa serenità? Elmgreen sintetizza perfettamente: “La mancanza di preoccupazione.” Proprio quella che potrebbe ritorcersi contro con il botto. Gli analisti avvertono: c’è un rischio molto reale che Trump si senta incoraggiato a stringere ancora di più la morsa delle tariffe e a sfoggiare l’aggressività che lo ha reso celebre (e temuto).

La situazione diventa irresistibilmente ironica se si pensa che il diretto interessato, Trump stesso, è a conoscenza dell’effetto TACO. E indovinate? Non gli piace affatto che gli analisti usino questo simpatico acronimo per descrivere le sue strategie.

Trump ha reagito con quel raffreddore da diplomazia che tutti conosciamo, quando un giornalista gli ha osato chiedere di questo famigerato TACO. Ha snocciolato con feroce semplicità: “Si chiama negoziazione.” Poi, con un premuroso monito da grande statista, ha ammonito il poveretto: “Non dire mai più quello che hai detto. È una domanda sgradevole.” Vista così, il presidente da solo dà spettacolo, mentre la grande economia mondiale cerca di capirci qualcosa.

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