Mentre a Bruxelles tutti attendevano l’inedita arrivata della lettera (magicamente mai spedita) dell’ineffabile Donald Trump riguardo i dazi per avvicinarsi alla chiusura del negoziato con gli USA, a Strasburgo si consumava il grandioso spettacolo del “processo” alla presidentessa Ursula von der Leyen e alla sua neanche tanto discutibile Commissione Europea. Il motivo? Una mozione di sfiducia scatenata dal Pfizergate – qualcuno ha giurato d’averlo inventato da qualche parte tra una pillola e l’altra.
L’artefice della mozione è il romeno Gheorghe Piperea, che rappresenta un gruppo ridotto chiamato ECR, roba da farci una festa senza invitare nessuno. La mozione sarà votata giovedì e promette scintille o forse no, visto che la maggior parte del Parlamento userà la testa anziché il fucile. Nel mezzo dell’Aula, la nostra eroina Von der Leyen ha tuonato contro i “apologeti di Putin” come se la situazione fosse un episodio di qualche serie TV di spionaggio. La sua frase d’ordinanza? “Non possiamo permettere agli estremisti di riscrivere la storia”. Tradotto: fermatevi tutti, qui comanda la narrativa ufficiale.
E come ciliegina sulla torta, ha ricordato che quando dovrà sedersi a trattare con gli USA su commercio e tariffe, l’Europa dovrà mostrarsi più forte che mai, proprio come fa sull’“incerto” futuro dell’Ucraina e nelle schermaglie con la Cina. Per non farsi mancare niente, ha evidentemente dimenticato che la forza si misura anche con le credenziali di chi siede al tavolo, ma fermiamoci qui.
Ora, se non succede un improvviso terremoto politico degno di una telenovela sudamericana, la mozione non passerà. La cosiddetta “maggioranza Ursula”, composta da popolari, socialisti, liberali e verdi, voterà compatta contro. Una nota di colore arriva però dal gruppo socialista, o almeno da una parte di esso, che dopo una riunione riservata ha iniziato a sussurrare ipotesi di astensione. Ovviamente, l’astensione è la nuova arma segreta per “non dire no ma nemmeno sì”. Pure comodo.
Nonostante questa piccola insurrezione interna, l’astensione non conta come voto esplicito, quindi il risultato finale sembra ormai scontato. Per far cadere Von der Leyen servirebbero due terzi dei voti e la maggioranza assoluta dei componenti del Parlamento: roba da fantascienza.
Nel frattempo, la parte dell’ECR che si è schierata a favore della mozione è ridicola, soprattutto se paragonata alla posizione di Fratelli d’Italia, che ha annunciato fiero e solitario in Aula tramite il suo co-presidente Nicola Procaccini che voterà contro. Il motivo? Difendere il lavoro dell’italiano Raffaele Fitto, ex co-presidente di ECR e attuale vicepresidente della Commissione. Questo sì che è spirito di gruppo, o forse solo tattica politica.
Il Movimento 5 Stelle, invece, ha scelto il classico “voterò la sfiducia” per fare un po’ di rumore, mentre il gruppo The Left si aggrappa con convinzione alla Lega e agli altri partiti patriottici, inclusi i francesi di turno. Insomma, un Parlamento europeo dal volto pressoché disgiunto, con alleanze che sembrano uscite da un mix mal assortito di partite di Risiko e giochi politici da bar.
Come ciliegina sulla torta abbiamo la presidente della Commissione, Ursula von der Leyen, che ha preso la coraggiosa decisione di smascherare questi “estremisti complottisti” e “apologeti di Putin” (sì, proprio loro che vogliono mettere in discussione la sua leadership impeccabile). Ha definito la mozione di sfiducia un «rozzo tentativo di creare una spaccatura tra le nostre istituzioni, tra le forze pro-europee e pro-democratiche di quest’Aula». Insomma, un’accusa leggera come una piuma, ma efficace per alzare il tono dello scontro.
Ora, che ci piaccia o meno, quella mossa dell’estrema destra ha scatenato finalmente una resa dei conti pubblica tra il PPE e gli altri gruppi della cosiddetta “maggioranza Ursula”. E qui viene il bello: il capogruppo dei popolari, Manfred Weber, forte del risultato elettorale dell’anno scorso e senza la scocciatura di un’alternativa di centrosinistra a fargli da freno, ha pensato bene di votare al bisogno con la destra e l’estrema destra — un’alleanza affettuosamente ribattezzata “maggioranza Venezuela”. L’obiettivo? Seguire il suo programma, a partire dal famigerato Green Deal, a prescindere da quei rompiscatole di socialisti e liberali.
Naturalmente la leader socialista Iratxe García Pérez non ha perso l’occasione per una stilettata: «Questa mozione è il risultato diretto della vostra strategia di dialogare con i gruppi della destra». Come dire, “se siete finiti in questa situazione, è colpa vostra”. E a rincarare la dose arriva anche la leader dei liberali, Valerie Hayer, che brontola rivolta a von der Leyen: «Nulla può essere dato per scontato. Riporti l’ordine nella sua famiglia politica». Ah, che tenera famiglia disfunzionale la politica europea…
E come si difende il nostro caro Weber? Giocando come sempre con i numeri, quella lingua liscia dell’Europa: «In circa il 3% di tutti i voti finali il PPE ha vinto con il sostegno dell’ECR e dei Patrioti, ma abbiamo avuto più del 7% dei voti finali in cui i socialisti hanno vinto con i Patrioti contro il PPE». Traduzione? “Sì, forse abbiamo fatto qualche pasticcio, ma guardate chi ha vinto di più!”. Però, ça va sans dire, alla fine è sempre il PPE che detta la linea, con lo stile inconfondibile di chi manovra dietro le quinte un giocattolo rotto chiamato “unità di governo europea”.


