Ecco arrivare un bel po’ di agitazione nell’incantevole mondo del Torino Film Festival, quello dove, a quanto pare, la parenteria diventa arte e la contabilità un optional. Sembra infatti che il budget sia schizzato alle stelle, e la ciliegina sulla torta è la nomina di Tiziana Rocca come consulente per la selezione degli ospiti. Ma non finisce qui: secondo il diligente deputato Gaetano Amato, c’è anche la comoda sovrapposizione dei ruoli, visto che il festival è guidato dal marito di Rocca, Giulio Base.
Naturalmente, il nostro eroe grillino ha lanciato l’interrogazione parlamentare al ministro Giuli, perché nulla è più sacro della democrazia quando si tratta di questioni di soldi pubblici sballati e nomine più familiari di un pranzo di Natale. Secondo Amato, infatti, lo sforamento dei costi sarebbe «esorbitante», senza dimenticare il piccolo extra stipendiale di quasi 20 mila euro a Base. Sono sicuro che il ministro si precipiterà a risolvere questa matassa da atmosfere da telenovela italiana.
Ora, prima di lanciarsi in conclamati isterismi o porgere la fiaccola all’insegna dello scandalo, vediamo cosa ha da dire il presidente del Museo del Cinema, Enzo Ghigo. Egli replica con la calma e la saggezza di chi conosce il valore della teatrale vicenda: la retribuzione, dice, è ferma — quindi immobile, stagnante, forse fossilizzata — e Tiziana Rocca è niente meno che «una professionista di grande valore».
Traducendo: le tasche potrebbero anche aver perso un po’ di fondi, ma nessuno è stato pagato illicitamente, e la signora Tiziana non è (udite udite) una raccomandata qualunque, bensì un autentico talento. Peccato che il marito sembri un po’ più abile nel far lievitare le spese, quasi come una maglia del patrimonio pubblico da cui tirare fuori il classico coniglio di turno.
Un classico episodio di Parentopoli 2.0
Insomma, i tratti distintivi di questa novella sono tutti ben riconoscibili: aumenti sospetti, consulenze affidate alla dolce metà del diretto interessato e, ciliegina sulla torta, il momento “disinteressato” del presidente che celebra con tono istituzionale il valore della signora in questione. Se non fosse così prevedibile, potrebbe quasi sembrare uno sketch comico.
Il tutto, ovviamente, sotto lo sguardo implacabile di chi domanda chiarezza nei bilanci pubblici — come se questo significasse realmente qualcosa nel teatro delle operazioni culturali di qualità medio-bassa ma dai budget esorbitanti. È la perfetta ricetta per tenere in vita quel sistema di raccomandazioni, spese gonfiate e politiche culturali che fa tanto bene all’“elite” culturale e molto poco al cittadino che paga.
In conclusione, preparate i popcorn: se la crisi dei fondi era il tema del festival, lo scandalo politico-culturale a sfondo familiare è sicuramente il vero evento dell’anno. La politica di controllo si muoverà lentamente, ma nessun dubbio che si arriverà al solito nulla di fatto, condito da proclami di trasparenza e promesse di riforma che, in questo paese, hanno la durata di una maratona di serie TV.


