Martina Oppelli stanca di porte in faccia: e se la politica imparasse a guardare davvero?

Martina Oppelli stanca di porte in faccia: e se la politica imparasse a guardare davvero?

Nel lontano 2002, il neurologo consigliò: «cammini dritto». Peccato che lei facesse lo zig zag; «cammini sulle punte», suggerì ancora, e lei si riversava a terra, scusandosi goffamente. La diagnosi? Non una semplice banale sciocchezza: si pensò inizialmente a un tumore al cervello o a qualche malattia infiammatoria. Ma la verità, oh meraviglia della medicina, fu la sclerosi multipla progressiva. Nel 2006 arrivò la prima stampella, nel 2008 la seconda e nel 2009 la regina delle conquiste: la sedia a rotelle. Più che una vita, sembrava l’epopea di una lenta resa. Parliamo di Martina Oppelli, architetta triestina di 50 anni, che ha ceduto tutto alla malattia meno il pensiero lucido e la parola. E cosa le ha riservato il sistema sanitario? Per la terza volta, il dolce “no” al suicidio assistito. Lei, con una voce che ormai lotta per farsi sentire, ammette candidamente di non essere arrabbiata. Macché, solo una fatica infinita: «stanca, stanca, stanca».

Terzo “gentile” rifiuto e il suo esercito legale si lascia alle spalle l’incredulità per presentare immediata opposizione. L’Azienda sanitaria replica con un rinnovato entusiasmo burocratico, promettendo di «avviare immediatamente una nuova procedura di valutazione». Che bel pensiero! Intanto, Martina si chiede, quasi con dolcezza amara: «Possiamo andare avanti così all’infinito, ma quale battaglia stiamo combattendo? Non ho mica rabbia, quella sì la risparmierei perché è energia sprecata e senza frutti, ma voglio ricordare che l’essere umano ha un limite. Che vogliono da me? La fine naturale, forse?»

Nel comunicato che annuncia il terzo “no”, lascia intendere che ormai sta contemplando la fuga svizzera per il suicidio assistito. E lo dice senza fronzoli né ipocrisie. «È vero. Stavolta speravo in un sì, devo esser sincera. Ma io ho sempre un piano B, non mi affanno a cercare problemi, preferisco trovare soluzioni. La disperazione, se entra, dura al massimo mezza giornata, poi passo all’azione. La Svizzera è un’opzione per cui ho già il via libera e che avevo messo in conto ancor prima del secondo “no”. Vedremo… Non credo di aver già deciso, ma il mio tempo sta scadendo. L’estate è arrivata con tutta la sua furia, e il caldo per me è devastante. Il mio corpo, poveretto, non distingue più caldo e freddo, io semplicemente crollo. Con questa temperatura certo gli spasmi si attenuano, peccato solo che non mi resti nemmeno la forza per far uscire una parola, figuriamoci se qualcuno può sentire.»

Vedrà forse la fine di questa estate? Ovviamente no, eh. «Chissà, non credo proprio… Il tempo che mi sono data è così scarso che già solo pensare a una scadenza sembra un lusso.»

Come si vive, allora, nel limbo eterno dell’indecisione sul fine vita nel nostro glorioso Paese? «Il dibattito sul fine vita si è trasformato in un balletto politico vuoto, una pantomima lamentosa dove l’idea dello Stato laico vacilla più di una barca in tempesta. E intanto, in troppi, si mettono i paraocchi per non vedere la realtà che potrebbe capitare a chiunque. Ora vorrei dire una cosa ai politici e agli amministratori vari che governano questo spettacolo drammatico.»

Prego, dettagli.

«Finiscano di fare gli struzzi, di chiudere gli occhi e scappare via in vacanza. È tempo di una legge seria, che abbia un minimo di senso, che consideri ogni aspetto, ogni dolore. E per l’amor del cielo, smettiamola con le fandonie: se ci sarà una legge in materia, nessuno sarà obbligato a usarla. E se proprio vogliamo parlare di cure palliative come panacea universale, vorrei che chi le propone avesse il coraggio di spiegare davvero cosa sono e se guariscono davvero…»

Qual è la parte peggiore della sua condizione, se si può chiedere?

«La rigidità innanzitutto, quei bendati spasmi che ti vogliono imprigionare. Tralascio il dolore costante, le continue infezioni e allergie che si accumulano come una collezione indesiderata. Nemmeno gli occhi posso usare come puntatore, perché con la sclerosi anche i nervi ottici ci hanno lasciato. Ho pure l’asma, e quei farmaci inalatori che un tempo prendevo con un semplice respiro ora li devo fare aspirare tramite aerosol perché inspirare è diventato un optional. Gli spasmi, poi, sono così violenti che ti viene voglia di sbattere la testa contro il muro. Peccato che non possa, visto che sono completamente immobile… Insomma, sono una bambola rotta.»

Eppure, lei sembra sempre affrontare tutto con un sorriso.

«Sorrido alla vita, e persino alla sua fine. Che altro si può fare, eh? La malattia si accetta o ti annienta. Poi basta succhiare fino all’ultima goccia di linfa vitale. Ma adesso proprio non ce la faccio più. E poi, giusto per metterci il tocco finale, io ho sempre lavorato — anche quando nessuno mi costringeva. Ora sono in ferie e, quando lavoro, uso un computer che si attiva con la voce. Forse anche questa mia faccia da brava ragazza è stata una buona scusa per negarmi il diritto al suicidio assistito.»

Cosa intende dire?

«Che forse per il mio carattere e l’apparenza norma, hanno deciso che non rispondo ai criteri per il permesso tanto agognato. Ma io cosa dovrei fare? Raccontare per filo e per segno di clisteri e pannoloni? Snocciolare l’elenco interminabile delle sofferenze che provo? No, niente di tutto questo. A me piace mostrarmi curata, carina, e persino un po’ truccata, perché no? Il mio amico mi sistema con un bicchiere in mano, mi accavalla le gambe, mi sistema sulla sedia e io sorrido: così il mondo sorride con me. Ma la verità è che sono sfinita. Una stanchezza mostruosa mi avvolge e un grande sconforto per aver creduto nel senso civico di uno Stato che, a parole, è laico.»

Come immagina il suo ultimo giorno?

«Senza tragedie. Una decisione del genere va ragionata, è questione di consapevolezza e autonomia, va presa in totale serenità. Se vai via piangendo, vuol dire che qualcosa è rimasto in sospeso nella tua vita. Ma qui — e chi ci riesce davvero a capirlo? — io credo che arrivi un attimo in cui la felicità e il desiderio di andarsene possono convivere pacificamente. E io, per fortuna, sono pronta.»

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