Circa metà delle imprese italiane si scervella nel tentativo di trovare professionisti con competenze STEM – scienza, tecnologia, ingegneria e matematica. Se questo vi sembra un problema comune, aspettate di sentire che nei settori IT e ingegneria questa “sfida” sale tranquillamente oltre il 60%. Complimenti, Italia: un paese che vanta innovazione e digitale, ma non trova chi lo faccia sul serio.
Questo è il quadro preoccupante emerso dall’ultimo rapporto sull’occupazione digitale, che non si limita all’emergenza “tecnici puri”, ma svela anche un’altra perla: le aziende vogliono “profili ibridi”. Sì, avete capito bene, quei miracolosi individui in grado di mescolare come per incanto competenze tecnico-scientifiche e umanistiche, perché pare che i puri scienziati non siano più sufficienti.
Ma tranquilli, c’è chi prova a fare qualcosa di concreto. Il Politecnico di Torino e l’Università di Torino, con l’Associazione STEM by Women e il generoso sostegno della Fondazione Compagnia di San Paolo, hanno creato un Master di II livello dedicato proprio a formare questi “profili ibridi”. Si chiama HumanAIze, giunto alla sua terza edizione, ed è pensato per offrire un ponte tra scienze umane e intelligenza artificiale a laureati in discipline umanistiche. Una specie di ricetta magica per colmare quel vuoto che le aziende lamentano da anni.
Ovviamente, i numeri di successo non mancano: il 96% dei primi diplomati ha già trovato lavoro al termine del corso. Per chi ama i dati, è la dimostrazione che una formazione mirata e attenta alle richieste del mercato fa miracoli, anche quando il mercato stesso sembra più confuso di un puzzle senza immagine di riferimento.
Ricordiamoci inoltre che i profili STEM sono assolutamente i più richiesti e, non sorprendentemente, anche i più pagati. Curioso, vero? L’iniziale differenza negli stipendi la dice lunga sul gap tra gli studi umanistici, che si fermano intorno ai 24.000 euro annui, e quelli economico-scientifici, che toccano i 26.500. Un distacco che nel tempo si fa sentire parecchio.
Il solito stereotipo che non vuole morire: il gender gap nelle STEM
Non è certo una sorpresa scoprire che, nonostante la corsa alle competenze STEM, le donne ancora arrancano nelle percentuali di laureate in questi campi: solo il 41,4%. E se pensate che una volta laureate la vita diventi più facile, ripensateci. A cinque anni dal titolo, le donne occupate sono il 90,1%, mentre gli uomini vantano un 92,6% di occupazione. Roba da far sorridere chi predica parità e meritocrazia.
Ma non finisce qui: al momento del contratto, le donne sono più spesso vittime di un’amara realtà fatta di contratti temporanei o di formule che sembrano più borse di studio mascherate da lavoro, e solo il 49,9% ha un contratto a tempo indeterminato. Dall’altra parte gli uomini, beati loro, godono del 56,1%, un divario che nemmeno la fantascienza riuscirebbe a giustificare.
La parte più gustosa della storia è la disparità salariale, quel gioiello che al femminile pesa come un macigno: a cinque anni dalla laurea, le donne in STEM prendono in media 1.798 euro netti mensili, mentre gli uomini si portano a casa 2.025 euro. Tradotto in soldoni, un divario del 12,6%. Insomma, mentre il mondo corre verso la parità, i conti bancari delle donne restano decisamente più leggeri.



