Sicilia in tilt: il presidente dell’Assemblea regionale Gaetano Galvagno nel mirino per corruzione, altra puntata del solito circo

Sicilia in tilt: il presidente dell’Assemblea regionale Gaetano Galvagno nel mirino per corruzione, altra puntata del solito circo

Ah, che sorpresa! Proprio quando pensavamo di aver archiviato la celebre saga dei 3,5 milioni di euro spesi dalla Regione Siciliana per una mostra sulle donne e il cinema al Festival di Cannes – sì, quella roba datata 2023, poi saggiamente bloccata dal governatore Renato Schifani per l’insostenibile «esosità» dell’impegno – ecco che il passato torna a bussare alla porta con un bel carico di guai. Dallo stesso filone di indagini, orchestrato ai tempi in cui l’assessorato al Turismo era nelle mani di un pezzo grosso di Fratelli d’Italia, quel Manlio Messina tanto geloso delle sue poltrone, emerge una fresca (o meglio, putrida) inchiesta per corruzione che coinvolge nientemeno che l’attuale presidente del parlamento siciliano, Gaetano Galvagno. Ovviamente, stesso partito e la solita pedina che ha sapientemente manovrato quei finanziamenti magici ora scrutati a fondo dal procuratore di Palermo, Maurizio De Lucia.

Chi è la star del momento in questa tragicommedia? La portavoce di Galvagno, Sabrina De Capitani, un’ex aspirante manager dal curriculum da far impallidire Netflix, già presente nel 2023 come quella enigmatica «key account» della socetà lussemburghese Absolute Blue – sì, proprio quella del dispendioso tesoretto da 3,5 milioni. Adesso, degna comparsa in questa farsa, anch’essa indagata per corruzione insieme al suo capo per un nuovo capitolo di guai, ha deciso di buttare la spugna e dimettersi, svuotando così un cerchio magico che traballa paurosamente. Non bastasse, una comunicazione giudiziaria ha già fatto visita pure all’assessora Elvira Amata, stessa formazione politica. Ah, la meraviglia di una famiglia politica tanto unita quanto incrinata!

Ma vediamo di chiarire un attimo le posizioni, ché qui la confusione regna sovrana. Partiamo da Galvagno, il rampante presidente dell’Assemblea regionale, una specie di delfino ispirato dalla “mano amica” del senatore La Russa, nipote del noto paese etneo Paternò. Il nostro eroe è sul banco degli imputati per favoritismi degni di un film pulp: una decina di biglietti per concerti targati Assemblea, incarichi da distribuire come fossero caramelle, e addirittura un quadro e un abito pezzo unico ricevuti in omaggio. Tutto quanto, si badi bene, con il sorriso candido di chi nega l’evidenza e si dice incredulo.

Nel tentativo sgangherato di mettere un freno alla crescente chiacchiera (leggi: rumore mediatico) che si è scatenata dopo le prime avvisaglie dello scandalo, Galvagno ha convocato una seduta del Parlamento – sì, proprio quello più antico del mondo, con le epigrafi che lo ricordano fieramente incise a Palazzo dei Normanni – con il piglio del salvatore che cerca di spegnere l’incendio con un bicchier d’acqua.

Peccato che sotto quelle magniloquenti volte affrescate dalle Sette Fatiche d’Ercole, la situazione potrebbe sembrare più un tentativo di uno spettacolo tragicomico in cui le maschere cadono una dopo l’altra. Ma niente paura, lui non molla, nonostante le accuse galoppanti e le ombre sempre più fosche che si allungano sulle sue spalle.

Con toni da perfetto gentleman assolto in partenza, si è prodigato in una difesa pacata, sicuramente convinto di non aver infranto neanche una virgola di leggi: “Nessun interesse personale, non mi dimetto”. Una dichiarazione che sa tanto di manifesto d’innocenza da manuale, roba da premio Nobel per la convinzione incrollabile.

E così, la Sala d’Ercole, teatro solitamente riservato a dibattiti più istituzionali, si è trasformata in un’arena degna di un processo mediatico senza barra di giudizio. Difese ostentate e attacchi calibrati a mezz’aria, in un valzer senza fine e senza una parola definitiva. Nel mezzo, spettatori delusi, in particolare chi invocava un gesto nobile sotto forma di dimissioni. Tra questi, Antonello Cracolici, presidente PD della Commissione antimafia, insieme all’ex “iena” di Italia 1 Ismaele La Verdera, che ha preso il palco per difendere il sospettato principale, ma non ha risparmiato frecciate velenose al suo ‘ex figliol prodigo’. E ovviamente, non poteva mancare l’appoggio ironico a Cateno De Luca, sindaco di Taormina e vero deus ex machina della politica locale, che da una parte nomina, dall’altra smentisce.

Nel frattempo, la rassegna delle inquietanti sottotracce legali procede con metodo, e la Procura non perde colpi. Indagini fitte come una nebbia londinese avvolgono i corridoi del potere. Tra intercettazioni che sembrano uscite da un film noir, spiccano figure come la (ormai ex) portavoce di Galvagno e l’ambiziosa Marcella Cannariato, moglie di Tommaso Dragotto, il boss – ops, pardon – il patron di Sicily by Car, uno dei colossi del noleggio auto. Ah, la bella vita! La Cannariato ieri ha anche mollato una poltrona di prim’ordine nel consiglio di indirizzo del Teatro Massimo, probabilmente per sfuggire alla compagnia dalla quale è circondata.

Le conversazioni intercettate sembrano tratte da un episodio di Gossip & Strategie, con featuring di De Capitani e un gruppo di donne protagoniste di rivalità così intense che neanche gli eventi natalizi riuscirebbero a placare. Uno scambio esilarante riporta De Capitani che, ironico fino all’osso, commentava: “Potessero uccidersi fra loro… meno male, che facciano pure l’evento sulle donne”. Una sorta di “aiutateli a litigare”, corredato da “non si tocca, dipende da ‘Uomo6’”, un nome in codice quasi da film di spionaggio utilizzato da magistrati e Guardia di Finanza per individuare chi davvero tira i fili di questo teatrino.

Un copione che ricorda tristemente vecchie inchieste mafiose, ora rimpiazzate da un’ombra meno scenografica ma infinitamente più inquietante: la corruzione. Il potere si cela dietro risate, concerti e nomine, ma in fondo tutto resta uguale a se stesso, con queen e re della scena che si scambiano ruoli e accuse, mentre il pubblico assiste al grande spettacolo delle contraddizioni.

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