Banco Bpm sfida Unicredit ma finisce relegata ai cartelloni: la soap dell’ops che non decolla

Banco Bpm sfida Unicredit ma finisce relegata ai cartelloni: la soap dell’ops che non decolla
Milano si anima con la crociata di Banco BPM contro l’ops di UniCredit

Milano, cuore pulsante della finanza lombarda, è stata recentemente teatro di una battaglia tutta interna al settore bancario: su uno dei totem pubblicitari più visibili del centro, Banco BPM ha affisso un messaggio per niente velato in risposta all’offerta pubblica di scambio (OPS) proposta da UniCredit. In caratteri cubitali, sulla brillante superficie del cartellone, campeggia il manifesto provocatorio: «160 anni di sì per i nostri territori. Ecco perché all’OPS diciamo NO».

Che la faccenda fosse seria lo conferma la posizione ufficiale del Consiglio di Amministrazione di Banco BPM, che, dopo un’attenta e probabilmente soggettiva analisi della documentazione, ha bocciato senza appello la proposta di UniCredit, giudicandola «non conveniente per gli azionisti». Evidentemente, la convinzione di essere i custodi del patrimonio territoriale pesa più di ogni possibile vantaggio economico.

La guerra non si limita alle strade milanesi: la campagna è stata veicolata anche sulla homepage di Banco BPM e tramite un’inserzione sul Corriere della Sera, uno dei giornali più letti d’Italia. Non si tratta di un’operazione tattica ma di un tour de force mediatico, partito alla fine di aprile e sparso nelle città dove la banca vanta le radici più salde, come Verona, Modena, Reggio Emilia e la sempre fidata Bergamo.

Oltre al classico formato cartaceo e alle affissioni, la campagna sbarca anche nel mondo digitale e nell’ecosistema fisico di Banco BPM: ogni filiale si è trasformata in una vetrina propagandistica, con manifesti che mettono in bella mostra volti e paesaggi locali per enfatizzare una mai troppo sottolineata identità territoriale. Dodici soggetti diversi, pezzi forti di una narrazione che si vuole capillare e personalizzata, corredano il messaggio di un legame – per loro sacrosanto – con il tessuto cittadino.

Naturalmente, l’operazione non è priva di ironia: da un lato una banca si mostra fiera paladina dei territori e dei suoi 160 anni di presunte «sì», dall’altro fa tutto il possibile per respingere un’offerta che potrebbe invece portare «innovazione» – o almeno questo dicono chi l’ha lanciata. Che la convenienza economica venga sacrificata sull’altare della conservazione identitaria lascia poco spazio a dubbi sulle priorità di chi gestisce certe operazioni finanziarie.

Un vero e proprio show mediatico che testimonia quanto le guerre finanziarie non siano mai solo questione di numeri e percentuali, ma racconti avvelenati di orgoglio, contraddizioni e visioni spesso in conflitto. Nel mezzo, azionisti e territori osservano, e cercano di capire chi davvero vincerà questa partita tutta italiana.

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