Con Donald Trump che decide di fare il bello e il cattivo tempo tagliando le forniture militari all’Ucraina come se fosse un gioco da bambini, ecco spuntare l’eroico invito all’Unione europea: “Adesso state a guardare o fate qualcosa di serio per difendere voi stessi e, perché no, anche Kiev?”
Il messaggio arriva niente meno che dal ministro degli Esteri e vicepremier Antonio Tajani, che, in un’audizione con le Commissioni Esteri e Difesa di Camera e Senato, ci ricorda che la Nato è il nostro “fondamento della sicurezza comune” – perché, ovviamente, nessuno avrebbe mai pensato al contrario. Peccato che a 80 anni dalla fine della Seconda Guerra Mondiale e a 35 dalla fine della Guerra Fredda, la sicurezza non si possa più prendere come una semplice assicurazione pagata da altri.
P.S.: la soluzione brillante è chiara: è ora che Bruxelles si svegli dal torpore di sempre, si tolga i panni del turista e diventi adulta, costruendo – come se nei decenni scorsi non ci avessimo mai pensato – un vero pilastro europeo della Nato, con un occhio al sogno di creare una Difesa europea integrata. Perché la pappa pronta della protezione made in USA non basta più, amici.
La minaccia è sempre più “numerica”: pronti a contare carri armati e droni come figurine
Il nemico da difendere si chiama Russia, ovviamente. Ce lo ricorda, da vero statisticone, il ministro della Difesa Guido Crosetto, che alla fine del vertice Nato del 24-25 giugno ha sparato una serie di numeri destinati a far tremare i polsi. E non per una considerazione politica, attenzione, ma per i numeri veri.
Primo punto: nonostante qualche “spiacevole” perdita di vite umane – perché perdere 200 mila soldati nel primo semestre 2025 e oltre un milione dall’inizio del conflitto è una cosetta secondaria – la Russia si è assicurata nuovi 300 mila soldati in sei mesi, il tutto senza perdere nemmeno un grammo di consenso interno. Che miracolo della democrazia.
Secondo punto, e qui viene il bello: il Cremlino produce come una fabbrica impazzita. Solo per il 2025, infatti, si parlerà di oltre 1.500 carri armati, 3.000 mezzi corazzati vari, 400 missili Iskander – per chi non lo sapesse, roba da fantascienza bellica –, migliaia di missili di ogni tipo, decine di migliaia di bombe aeree e più di un milione di droni. Un dettaglio? No, un invito a contare i numeri e a sperare nella pace, tanto per cambiare.
Alla faccia di chi sperava in una qualche tregua diplomatica tra Russia e Ucraina, il ministro degli Esteri si mostra più cauto di chiunque: “Putin deve dimostrare di volere un vero dialogo, ma fino a ora i fatti parlano chiaro, e il discorso è molto diverso da quel che si spera.”
Come ciliegina sulla torta, s’è scatenato un botta e risposta con il leader del Movimento 5 Stelle sulla tragica situazione di Gaza, perché si sa, quando la diplomazia va a rotoli, è buona norma gettare un po’ di sale su altre ferite del mondo per confondere ulteriormente le acque.
Per ora, mentre l’Europa ancora si prende il lusso di considerare la minaccia russa solo un “possibile problema futuro”, per l’Ucraina è la noiosa, spiacevole e tangibile realtà di ogni giorno. Antonio Tajani ci tiene a sottolineare quanto sia urgente un “cessate il fuoco”, visto che Mosca continua imperterrita con i suoi massicci e indiscriminati attacchi, come se non avesse altro da fare.
«Supporto la ricerca di una soluzione negoziale della guerra che la Casa Bianca sta spingendo», ci rassicura Tajani, il quale però tiene subito a precisare: «Putin deve dimostrare di volere il dialogo». Peccato che, a giudicare dai fatti fino ad oggi, sembrerebbe che questa “volontà” sia un concetto alieno per il caro Vladimir. Così, come sempre, arriva il classico “non possiamo escludere nuove sanzioni”, già pronto da tirar fuori ogni volta che le cose peggiorano e non si sa come uscirne.
Un aumento della spesa militare tanto coraggioso quanto… compatibile
Altra perla dell’audizione di Tajani: il risultato clamoroso del summit della Nato, che ha deciso di passare da un modesto 2% a un mirabolante 5% del PIL destinato alla difesa entro il 2035. Secondo lui, si tratta di un passo «coraggioso e necessario», ma attenzione: «graduale e compatibile con i vincoli di bilancio». Insomma, niente tagli alla sanità, all’istruzione o al welfare, per carità. E nemmeno un centesimo tolto ai Fondi di coesione, ci tiene a precisare, come se fossimo pronti a credere che la manna scenderà dal cielo o che da qualche parte cadano soldi senza che nessuno si accorga del prelievo.
Se però vogliamo distrarci un attimo dalle rassicurazioni da campagna elettorale, l’ex presidente del Consiglio e membro della Commissione Esteri della Camera, Giuseppe Conte, smonta la barzelletta con una semplice domanda retorica: «Andate in seno alla Nato e sottoscrivete un aumento del 5% del PIL. Venite qui a raccontarci che non ci saranno conseguenze per il nostro welfare. Ma perché dovete prendere in giro gli italiani?»
Quando parlare di Gaza diventa un’arte tutta politica
Non poteva mancare il capitolo Medio Oriente, ovviamente condito da toni da sceneggiata. Conte attacca duramente Tajani: «Quando parli di Gaza sembri il rappresentante di un’ONG, ma qui noi facciamo politica».
Antonio Tajani replica prontamente, con quel mix di diplomazia e arroganza che solo i politici sanno sfoggiare: «Io non faccio parte di nessuna ONG, io cerco di salvare – grazie a trattative politiche – il maggior numero possibile di palestinesi, perché questi sono fatti. La propaganda è altro».
Tradotto: il governo sostiene la tregua mediatica proposta da Donald Trump (sì, proprio lui), sperando che stavolta la palla venga raccolta da Hamas. Quindi tutto dipende da Hamas ora, perché la responsabilità di un conflitto che dura da decenni deve ovviamente ricadere tutta su una sola parte, così è più comodo. E come sempre, se non funziona, si potrà sempre puntare il dito all’altro.


