La Cgil si lancia in un’ennesima richiesta di urgenti «misure contro il caldo», chiedendo che anche in Trentino si blocchino le attività lavorative nelle ore più roventi della giornata, ovvero dalle 12.30 alle 16. Perché, si sa, il caldo fa tremare le fondamenta dello Stato più efficiente del mondo. La responsabile della salute e sicurezza del sindacato, Manuela Faggioni Sella, non usa mezzi termini: il «mancato intervento degli assessorati al lavoro e alla sanità è assolutamente inaccettabile e non scusabile». Ah, la delicatezza delle pressioni sindacali!
Dallo scorso 19 giugno, in tante regioni italiane si prendevano precauzioni assolutamente rivoluzionarie per difendere i poveri lavoratori da quel temibilissimo nemico chiamato “caldo”. Edilizia e agricoltura in prima linea, visto che questi settori si beccano in faccia il sole dritto in fronte. Il 1° luglio il carrozzone delle ordinanze si è allargato a Lombardia, Veneto e Friuli Venezia Giulia. E Piazza Dante (ma si sa, la puntualità è un optional) stavolta si è presa la medaglia del ritardo: niente provvedimenti nuovi, giusto le solite misure degli scorsi anni, come cassa integrazione straordinaria, qualche bottiglietta d’acqua e sali minerali distribuiti a mo’ di espediente consolatorio. In pratica, il minimo sindacale per non ammettere apertamente l’imbarazzo. Perché, diciamolo, ormai queste «emergenze» da ondate di calore sembrano più la nuova normalità e quelle vecchie misure? Panchine basse nel deserto.
I sindacati infatti non hanno nessuna intenzione di fermarsi al semplice “stop al lavoro durante le ore più calde”, troppo banale. Il segretario generale della Fillea, Giampaolo Mastrogiuseppe, pronunciandosi dal palco della conferenza stampa in via Muredei, ci fa sapere che “oggi si parla di caldo, domani di freddo e ghiaccio”. La saggezza delle stagioni è senza limiti.
Ma non finisce qui: Mastrogiuseppe chiede, neanche fosse una proposta di nicchia, un tavolo di discussione per affrontare “tutte le temperature a 360 gradi”. Fa o non fa venire voglia di istituire un ministero del meteo sindacale? E la cosa più divertente è che, secondo loro, gli strumenti ci sarebbero già: addirittura l’Inps nel 2016 aveva azzardato delle circolari che dichiaravano il calore come “condizione climatica” sufficiente a far partire la cassa integrazione ordinaria (CIGO). Comodo, no? Il limite magico sarebbe 35 gradi, a cui poi si aggiungono umidità e altro, perché senza un po’ di dettagli tecnici il sindacato non ci sta.
Quando ordinanze, raccomandazioni e realtà si incrociano (o forse no)
Da un lato abbiamo regioni come Lombardia, Veneto e Friuli Venezia Giulia che, bravi ragazzi, hanno finalmente deciso di prendere provvedimenti contro il caldo torrido per tutelare i lavoratori. Dall’altro, Trentino se ne sta lì comodo, raccontando a chi vuole sentire che le vecchie misure (leggasi “cassa integrazione straordinaria” e distribuzione di acqua fresca) sono più che sufficienti.
Chiunque abbia mai lavorato sotto un sole implacabile sa bene che una bottiglia d’acqua non basta a placare la furia degli 40 gradi all’ombra (se c’è l’ombra) né a far restare sulla pelle ore di lavoro da incubo tra calore soffocante e afa letale.
Quindi, in pratica, nella terra del nord che vanta efficienza e attenzione sociale, si mette a fronteggiare la crisi climatica con rimedi da dopoguerra, mentre in altre regioni si cerca di apparire più “attivi”. Un bel prestigiatore dell’ovvio, direbbero, se non fosse tragico.
Un caldo da ministero — consigli per tutte le stagioni
Pensateci bene: se si apre un tavolo di discussione sulle temperature, si potrebbe andare avanti fino all’inverno, con proposte su come sopravvivere a freddo e ghiaccio. Magari si chiede anche per le giornate uggiose o per la pioggia improvvisa, che si sa mai, un sindacato così attento alle condizioni meteo non si fa mancare nulla.
Il piatto chiave? Passare da un sistema che distribuisce acqua e sali minerali a un “piano caldo” strutturato che blocca il lavoro durante le ore “caldissime” e magari un po’ di ferie extra per tutti. Dopodiché si potrà discutere di come affrontare le giornate di freddo, con guanti, sciarpe, e – perché no? – riscaldamento straordinario per chi lavora in esterni.
Dai, è solo questione di tempo. Tra qualche anno, chissà se qualcuno si degnerà di trattare le condizioni climatiche come qualcosa di più serio e meno da salottino politically correct da quattro soldi.
Nel frattempo, per lavorare al sole o al gelo, occorre molta pazienza, qualche scusa pronta e una bottiglia d’acqua che ormai è diventata il simbolo di una politica climatica tutta da ridere.
Nonostante il caldo sia salito alle stelle – con il mese di giugno celebrato come il più rovente della storia – dalla Provincia si percepisce solo un dolce mormorio di richiami alla “prudenza” e alla “responsabilità individuale”. Sì, avete capito bene: nessuna ordinanza severa, giusto qualche gentile consiglio per le 5000 aziende trentine che pullulano sul territorio. Ovviamente, gli strumenti non mancano: la mappa termica di Inail per segnalare le zone caldissime e le categorie più a rischio è a disposizione di tutti gli appassionati di tabelle, così come sono rimpinzati di colonnine per la misurazione termica. La favola di Faggioni è sempre la stessa: “c’è tutto, ma basterebbe solo applicare ciò che abbiamo”. Insomma, cambiare mentalità? Nemmeno per sogno.
Un patto sociale? Che splendida utopia
La Federazione Italiana Metalmeccanici (Fim) della Cisl condivide questa illuminante laconicità. In un comunicato che non lascia spazio a dubbi, spiegano come gli “interventi conservativi” (leggasi: arrangiarsi come sempre) non basteranno più per garantire la produttività e la sicurezza sul lavoro. Il climate change (qualcuno ha detto fastidiose evidenze?) è ormai la nuova normalità. Il caldo non è più uno sforzo straordinario, ma la costante compagna delle estati trentine, quindi bisogna rivedere orari e organizzazione lavorativa come se non ci fosse un domani.
Matteo Salvetti, segretario generale della Feneal Uil, ha sganciato la bomba:
“Per garantire la sicurezza dei lavoratori in questa nuova era climatica, è necessario un intervento legislativo chiaro e netto, affiancato a nuove disposizioni contrattuali”.
Naturalmente, a detta dei più saggi confederali, solo con una svolta epocale di unità e volontà comune tra tutte le parti (lavoratori, datori di lavoro, santi protettori) potremo forse arrivare a qualcosa di concreto: un patto sociale che faccia tremare le fondamenta di questa realtà lavorativa confusa. Dai monitoraggi al rischio, tutto deve essere negoziato con la delicatezza di una trattativa di pace. La ridefinizione degli orari? Certo, ma solo al tavolo di contrattazione tra sindacati e imprese, mica da soli. Altro che decisioni top-down.
Bisogna tener presente che il colpo di calore è ufficialmente considerato un infortunio sul lavoro, con tanto di possibile malattia professionale. Ma guarda un po’: le aziende avrebbero tutto l’interesse a rivedere le condizioni lavorative, peccato che, da un lato, i cantieri devono correre come fossero in una maratona (il Pnrr con scadenza 2026 non aspetta), e dall’altro il segretario generale della Fim-Cisl Paolo Cagol ci ricorda tristemente che produttività e calore non vanno d’accordo – finché non si investe in tecnologia.
Come potrebbe fare la Provincia? Ovviamente con qualche fiume di denaro destinato a finanziare migliorie: impianti di condizionamento, coibentazione e isolamento termico, perché chiudersi in un ambiente come un forno non è la soluzione magica. Salvetti rivela che «le aziende spesso fingono di non voler ammettere che gli orari vadano rivisti e le attività fermate. Si comincia a parlare solo quando è troppo tardi, e l’emergenza è conclamata».
I controlli: un sogno lontano
Arriviamo così alla seconda brillante idea: potenziare i controlli. Già, perché avere un responsabile dei lavoratori per la sicurezza (Rls) è come avere un prezioso consigliere, peccato che non abbia il potere di cambiare nulla. Insomma, il grande limite resta il solito: le buone intenzioni dei consulenti si scontrano con l’inerzia di chi comanda.
E ora i sindacati, con la solita lungimiranza, puntano a instaurare un tavolo di confronto con le istituzioni provinciali. Perché, ovviamente, quello di cui abbiamo bisogno è una presenza più attenta e consapevole, come se finora fossero stati a prendere il sole. La parola d’ordine? “Unità”. Ah, che bella favola, soprattutto considerando che proprio tra le stesse associazioni sindacali regna una campagna feroce di divisioni e rimpalli di responsabilità.
Salvetti, il nostro Campione della Realtà Alternativa, ci regala la sua visione della situazione:
“Dispiace constatare come le stesse parti sindacali in Trentino non siano finora state in grado di trovare unità nel proporre soluzioni, anche attraverso la contrattazione collettiva. L’emergenza riguarda tutti, non soltanto un istituto. Bisogna fare il bene del settore, e non lo si fa stando divisi.”
Insomma, l’unità è così importante che… nessuno è riuscito a raggiungerla. Un capolavoro di coerenza, una specie di politica da manuale dell’assurdo. Nel frattempo, il caldo imperversa, le condizioni nei cantieri peggiorano e qualcuno si trascina stanco e sudato verso un nuovo episodio “non denunciato”. Ma chi ha veramente tempo per queste sciocchezze nei meandri della burocrazia sindacale?


