Un nuovo studio apparso sul Journal of Environmental Economics and Management non fa che confermare quello che già si sentiva nell’aria (condizionata): l’aumento esponenziale dell’uso dei condizionatori rischia di far decollare i consumi elettrici nelle case di tutto il pianeta, con conseguenze economiche, ambientali e sociali tutt’altro che trascurabili.
Il lavoro, realizzato da un gruppo internazionale di ricercatori tra cui Enrica De Cian, Giacomo Falchetta (dal CMCC e Università Ca’ Foscari di Venezia) e Filippo Pavanello, segna il primo tentativo serio di quantificare in modo empirico quanto i climatizzatori, ormai onnipresenti, stiano infliggendo ai nostri consumi domestici. Lo studio si basa su un campione di 25 Paesi, coprendo il 62% della popolazione mondiale e il 73% del consumo globale di elettricità. Praticamente la maggior parte del mondo.
La domanda d’aria fresca si fa sentire, e non poco: l’analisi stima un aumento medio del 36% dei consumi elettrici a famiglia dovuto proprio alla presenza degli apparecchi di condizionamento. Con il termometro che sale, la spinta verso l’acquisto e l’uso di tale tecnologia rischia di far esplodere i consumi.
Secondo le proiezioni, entro il 2050 l’elettricità richiesta per il raffreddamento domestico potrebbe raggiungere la cifra da capogiro di 1.400 TWh all’anno: per dare un’idea, è quanto consumava l’intera India nel 2020. L’impatto ambientale? Tra i 670 e i 956 milioni di tonnellate di CO₂ in più rilasciate nell’atmosfera, coadiuvate da costi economici che oscillano tra 124 e 177 miliardi di dollari. Chiaramente, il conto lo stiamo pagando tutti, anche quelli che evitano di accendere il climatizzatore per risparmiare.
Cooling poverty: il lusso del refrigerio è una tassa sulla povertà
Ma la chicca più gustosa della ricerca è senza dubbio la scoperta del fenomeno denominato “cooling poverty”: in parole povere (letteralmente), più sei povero e più ti costa acclimatarti. Mentre le famiglie benestanti destinano allo “sfizio” dell’aria condizionata tra lo 0,2% e il 2,5 del proprio budget, quelle più disagiate finiscono per dover spendere fino all’8% del loro reddito per sopravvivere al gran calore.
Giacomo Falchetta osserva acutamente che nei Paesi in via di sviluppo molte famiglie si troveranno schiacciate da costi insostenibili, pur di garantire un minimo di comfort termico. Tradotto: raffreddarsi rischia di diventare un lusso che amplifica ancora di più le disuguaglianze climatiche. Nei territori più poveri, avere aria fresca potrebbe trasformarsi in un privilegio esclusivo.
Il tasso di diffusione dei condizionatori, che oggi si aggira intorno al 28%, è destinato a schizzare tra il 41% e il 55% entro il 2050. Ma indovinate un po’? In vaste aree dell’Africa si resterà tristemente sotto il 15%. Questo non crea solo un divario sociale, ma mette anche una pressione inaccettabile sui sistemi energetici e sulle politiche climatiche di quei Paesi improbabilmente iper-assetati di energia, ma troppo poveri per sostenerla.
Prendiamo l’esempio dell’India: per soddisfare i picchi di domanda derivanti dal raffreddamento, sarà necessario aumentare la capacità di generazione elettrica dal 18% al 29%. Se vi sembrano numeri elevati, c’è un lato “luminoso”: la produzione da fonti solari fotovoltaiche, dove presente in abbondanza, può tagliare i consumi di condizionamento fino al 25%, anche se con qualche margine di incertezza.
Politiche climatiche: l’utopia di conciliare consumi e giustizia sociale
Ciò che emerge con chiarezza dallo studio è che l’unica strada percorribile per smorzare questa spirale infernale è il ricorso a politiche intelligenti che promuovano tecnologie di raffreddamento ad alta efficienza energetica, insieme a una forte integrazione di energie rinnovabili negli ambienti urbani. Insomma, non basta starnazzare sui diritti al comfort se poi si lascia ai poveri il conto salato da pagare.
Il messaggio è un campanello d’allarme verso governi, aziende energetiche e pianificatori: occorre bilanciare la giustizia climatica con una resilienza energetica credibile, in un pianeta che non smette di scaldarsi, mentre noi aggrappati ai nostri climatizzatori sembriamo aver perso la bussola della sostenibilità.



