Piccolotti & company: parlamentari alla deriva tra ansie e interminabili riconteggi

Piccolotti & company: parlamentari alla deriva tra ansie e interminabili riconteggi

Che ansia insopportabile per Elisabetta Piccolotti. Prima ti sfianchi a girare l’Italia per campagna elettorale, fai il pieno di selfie e strette di mano, poi arriva lo scrutinio e, sorpresa, passa un’eternità prima di sapere se sei effettivamente dentro o fuori. Nel frattempo, ti ritrovi a convivere con un acufene degno del miglior concerto rock e con un orso polare stile “Grizzly” che ti schiaccia lo stomaco. Dopo questo calvario, finalmente il verdetto: eccoti seduta al posto d’onore tra parenti, amici e – immancabili – quei compagni di partito un po’ invidiosi che ti buttano addosso complimenti zuccherosi e pattinati sorrisi di circostanza.

Sorridi, ti concedi qualche boccone e un bicchiere, perché fino a quel momento non riuscivi nemmeno a ingoiare un granello di sale. Peccato che una voce sommessa continui a ripeterti nell’orecchio: non sei affatto libera. Ai tuoi sogni di trionfo si oppone un’entità oscura che infesta la Penisola come un cattivo incubo: la temutissima Giunta delle Elezioni, quella che non dorme mai, che per ben due anni si dedica a controllare, riscrutare e smontare il minimo dettaglio dei conteggi elettorali. Insomma, una condanna a vita sull’altalena dello stress, in equilibrio precario come la spada di Damocle.

Diciamolo, uno potrebbe chiedersi: davvero si può tenere un povero cristo sulle spine per un tempo così indecente? E la risposta è ovviamente sì, perché questa è l’Italia, nazione dove la burocrazia non ha pietà e la pazienza è considerata una virtù eroica.

Questa volta però non è solo colpa della lentezza burocratica o di qualche burocrate seduto a godersi il proprio sadico passatempo. No, la Giunta si sente legittimata, o forse obbligata, a passare al microscopio tutti i verbali provenienti da ben sessantunomilacinquecento sezioni elettorali. Un’impresa degna di un Nobel per la pazienza, insomma. E a quanto pare, quel traguardo è ormai vicino perché il presidente della Commissione, Federico Fornaro, ha appena ultimato la sua “relazione finale”.

Alla fine del labirinto burocratico restano però ancora pochi verdetti sospesi, veri casi borderline destinati a farci divertire: c’è Vito Di Palma, alle prese con un ricorso da parte di Marcello Lanotte, altro pugliese ma di Forza Italia, quello di sempre, quello del “chi la spunta?”. In Toscana invece si gioca la partita tra Francesco Michelotti di Fratelli d’Italia e la collega di partito Irene Gori, che ovviamente non molla senza combattere. L’unico caso finalmente concluso vede Andrea Gentile di Forza Italia sorridere trionfante mentre soffiava il seggio a Elisa Scutellà dei Cinque Stelle, la quale ha affidato il suo sdegno a uno strillo infuocato in Aula:

«È una truffa, fate schifo!»

Insomma, inutile far finta di niente: “de minimis non curat praetor” – il pretore non si preoccupa dei piccoli dettagli – e così la sorte delle “comparse” della politica turba poco o nulla i sonni delle alte sfere. C’è un intero spettacolo di lentezze, ricorsi e ombre che accompagna la ridicola attesa per sedersi su una poltrona che sembra più un trono d’inquisizione.

Ah, che meraviglia della politica italiana! La storia incassa applausi solo perché nel sacco politico è finita Elisabetta Piccolotti, esponente di spicco dell’Alleanza Verdi Sinistra e, ciliegina sulla torta, moglie del segretario del partito Nicola Fratoianni, anche lui deputato. Nessun ricorso contro di lei, solo un banale problema di addizioni. Ma come si fa a criticare la coppia d’oro che, con l’aggiunta di Angelo Bonelli, ha portato il partito a veleggiare miracolosamente sopra il sei per cento nei sondaggi? Criticare un simile talento sarebbe un sacrilegio.

Ma, ahimè, la natura umana è tanto generosa quanto cattiva, e l’idea che sotto lo stesso tetto convivano due stipendi da deputati fa storcere più di qualche naso, scatenando risatine e sguardi di disapprovazione nascosta. Ovviamente, ecco spuntare le accuse di misoginia come funghi dopo la pioggia. Ma davvero? Elisabetta Piccolotti è per caso una neofita della politica? No, è una militante di lungo corso: non ha certo deciso di fare politica solo perché ha sposato Nicola. Chiedere a lei un passo indietro per ragioni matrimoniali sarebbe una follia, parola di buon senso.

Ora, che dite, dov’è il machismo in questa faccenda? Perché la polemica si concentra solo su di lei? Non poteva essere il marito a tirarsi indietro e limitarsi a fare il mestiere più nobile del segretario di partito? Ah, queste geniali sottigliezze da avvocati del diavolo. Non sono né i primi né gli unici a fare doppietta in famiglia, eppure basta questo piccolo dettaglio a far emergere un velo di fastidio che circonda la coppia, e non solo tra i detrattori ufficiali.

Un esempio? La coppia si compra una Tesla, scelta ecologica quanto elegante. Poi il signor Musk decide di flirtare con la destra estrema dell’Illinois e naturalmente si punta il dito contro loro. Elisabetta si azzarda a dire che costa meno di altre auto elettriche e subito le mettono in bocca frasi che non ha mai pronunciato su prezzi da discount. Come se non bastasse, il caso della candidatura risveglia dolorosi ricordi di Aboubakar Soumahoro, promosso erede di Giuseppe Di Vittorio e poi rivelatosi… diciamo, un paragone un po’ azzardato.

E infatti, complici le liste elettorali e i magheggi regionali, Soumahoro sarebbe eletto in Puglia, non in Emilia-Romagna, dove invece subentra Eleonora Evi, lasciando il posto in Lombardia a Giovanni Paglia, mentre Piccolotti ritorna a casa. Insomma, un autentico spaghetti politico, uno scioglilingua, e nemmeno la versione definitiva, dato che la Giunta deve ancora approvare e tutte le obiezioni sono benvenute.

Nel frattempo, l’AVS se ne sta tranquilla, senza drammatizzare troppo. Dopotutto, sono tutti membri della stessa famiglia… politica, certo, ma pur sempre una famiglia. E tutti sanno bene cosa significhi rimanere con un solo stipendio in casa. Che tenerezza.

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