Il nostrano Ignazio La Russa, tornato in auge come portavoce manchevole di certe verità scomode, s’è lanciato in una dichiarazione degna di un copione da telenovela politica: «Il terzo mandato? È tramontato» salvo poi correggersi – con un classe che sarebbe apprezzato da qualunque illusionista – anticipando che forse si tratta solo di una «eclissi». Tradotto: un giorno c’è, l’altro non c’è, e noi tutti a tenerci il fiato sospeso sul mito del terzo mandato che non muore mai.
Non mancano nemmeno le proteste del sempre coerente Forza Italia, capitanata dal potentissimo portavoce Raffaele Nevi, che ribadisce la posizione quasi arcana: «Voteremo contro questo emendamento della Lega». Una polveriera, insomma, che vede alleati sull’orlo di un caos denso di quell’ironia amara che la politica italiana riesce a regalare solo ai più coraggiosi osservatori.
Nel mezzo di questo teatro degli orrori, il nostro Zaia si dimostra quantomai disinteressato, con un elegante «non ne so nulla, ne prendo atto» e un ultimo saluto alla sovranità parlamentare: se ne occuperanno loro, non io. E così, dopo che il referente della Lega per gli enti locali, Stefano Locatelli, ha fatto un gesto quasi disperato dicendo «prendiamo atto che FI è contraria, ora vediamo se il centrodestra sa scegliere i candidati migliori», il cerchio si chiude in una triste danza di annunci, smentite e assoluta assenza di numeri concreti per passare questa modifica.
L’emendamento che non c’è (e probabilmente non ci sarà mai)
Non è difficile intuire la tragicomica realtà: si voterà giovedì in commissione al Senato, ma i conti non tornano affatto. Le varie componenti del centrodestra, in particolare Forza Italia, sembrano più intenti a fare muro che a costruire ponti. Solidarietà? Chi l’ha vista? Fratelli d’Italia potrebbe anche astenersi, tanto per non sbilanciarsi troppo e salvare la faccia, ma il risultato più probabile sarà un altro bel nulla di fatto con tanto di applausi finti e interviste di circostanza.
Insomma, un’occasione persa per cambiare veramente qualcosa e invece ci ritroviamo con l’ennesima mozione di facciata, da appendere al muro della vergogna insieme a tante altre promesse mancate. Il tutto condito da dichiarazioni che sembrano uscite direttamente da un libro di commedie politiche, per non dire tragicomiche.
Il nostro Luca Zaia è in preda all’ira divina contro Matteo Salvini, reo di aver abbandonato la battaglia del terzo mandato per i governatori prima del tempo. Nel frattempo, Giuseppe Tosato, freschissimo depositante del testo in commissione Affari Costituzionali al Senato, sfodera il colpo di scena: “noi ci abbiamo messo l’emendamento sul terzo mandato perché questa è la linea ufficiale, nonostante sappiamo benissimo che dentro la maggioranza le opinioni siano tutt’altro che unite e che le chance di far passare il testo siano praticamente nulle”, ma si è deciso di portare avanti la crociata a oltranza. Tanto da “non lasciare nulla d’intentato” e soprattutto per far luce sulle mille sfumature di posizione nel centrodestra: alcune da manuale, altre invece degne di un esperto in camaleontismo politico. La sfida sarebbe capire come si comporteranno in commissione, per ora mistero fitto.
Nel magico teatrino della politica nazionale, gli appassionati della politica meloniana – cioè Fratelli d’Italia– decidono di incollarsi alla finestra e osservare con la solita raffinata diplomazia. Tosato non si lascia sfuggire questo dettaglio e spara senza filtri: “il presidente Antonio Tajani ha espresso un totale no, mentre sul governo si vede una certa apertura; però, attenzione: è proprio FdI a cambiare lo scenario, quindi aspetteremo il voto per capire cosa salta fuori”. Dunque, i meloniani, con la loro proverbiale astuzia, giocano il ruolo dello spettatore neutrale con una “disponibilità alla discussione” tanto generosa quanto sibillina. A che prezzo? Beh, anche quello di mettere a repentaglio la tenuta già traballante della maggioranza. Tosato, però, tranquillizza: “se il governo deciderà di lasciare libertà di voto all’aula, come già capitato in passato, non siamo qui per rompere i giocattoli della maggioranza, anzi, voteremo e basta”. Ma attenzione al parere negativo del governo: quello sarebbe il segnale per ripensarci e, magari, ritirare l’emendamento. Salvo colpi di scena ovviamente.
Il gran finale del voto – o almeno questo ci dicono
La saga si rimanda ad un imminente appuntamento: domani, nella commissione presieduta dal brillante Alberto Balboni – sì, lui, l’uomo che dovrebbe portare ordine in questa baraonda – si discuterà del glorioso emendamento che, per mille motivi, è diventato il simbolo della discordia. E sempre Balboni, con la classica speranza che non ci sia da scappare, assicura che si tenterà un voto. Già, perché a Palazzo Madama sono tutti pronti a fare i conti: si prevedono due no da Forza Italia, qualche “ni” da parte di FdI – tra contrari e astenuti –, cinque voti contrari in tandem PD e Italia Viva, un altro “no” da Autonomie e Verdi e ovviamente la doppietta di no da SVP, mentre la Lega sparerà i suoi tre voti a favore, quasi come a dire “ce l’abbiamo messa tutta”. Nel frattempo, i senatori dem mettono le mani avanti, bocciando questo tentativo: “l’emendamento per garantire a Zaia un quarto mandato è semplicemente una provocazione e dovrebbe essere immediatamente bocciato senza appello”. Insomma, il festival dell’ipocrisia politica va avanti, con tanto di applausi e qualche fischio di sottofondo.


