Finalmente arriva il gran giorno della democrazia interna al Movimento 5 Stelle, dove la partecipazione sfiora punte da record… se si fossero accontentati di un pubblico di comici di seconda fila. Solo poco più di un militante su due, esattamente il 50,13%, ha deciso di alzare il ditino e votare alla consultazione online. Perché, si sa, l’entusiasmo per scegliere il destino dei grandi big pentastellati è alle stelle.
Il risultato? Ora gli illustri ex leader come Paola Taverna, Roberto Fico, Vito Crimi e Alfonso Bonafede possono tranquillamente farsi eleggere per un terzo mandato, giusto per non perdere il vizio di fare politica a oltranza. Tutto ciò è stato sancito da una votazione su statuto e codice etico che si è felicemente conclusa domenica sera, mettendo una pezza a una partecipazione che, diciamolo, sembra più un lirico calo di interesse che un’apoteosi civica.
Per approvare queste magnifiche modifiche serviva la maggioranza degli iscritti. Quanti? Beh, gli iscritti sono calati vertiginosamente: da un orgoglioso esercito di 170mila di un anno fa ai soli 99.274 attuali. E dato che solo la metà di loro si è presentata a votare, il rischio di dover ripetere la votazione era alto come le ambizioni dei big pentastellati. Fortunatamente, «test superato in extremis», strizza l’occhio un militante, forse più consolato dal traguardo che dal metodo.
Il leader Giuseppe Conte può sorridere di fronte a questo risultato almeno per un motivo: ha incassato il via libera alla prima. Ma attenzione, la gloria è fresca di un leto autunno passato a feste di partecipazione molto più alte: per esempio, alle consultazioni di dicembre, volute da Beppe Grillo, la partecipazione era quasi del 65%. Insomma, il Movimento sembra più un circolo ristretto dove si eleggono pochi amici nel segreto delle stanze virtuali piuttosto che una grande forza dal respiro democratico.
Le modifiche accolte non sono di poco conto: cambiamenti statutari sulle strutture territoriali, il network giovani, e una riorganizzazione delle funzioni degli organi dopo la sparizione del ruolo del garante, quell’entità più mitologica che istituzionale. Però la vera cristallizzazione di responsabilità etiche, come la cosiddetta “clausola della mediazione” è stata bocciata con stile e decisione: solo 44.176 sì contro una maggioranza assoluta richiesta che non è stata raggiunta.
La parte più comica? La modifica al codice etico ha raccolto il maggior numero di no, quasi il 16%. Su 51.432 votanti, ben 8.196 si sono opposti coraggiosamente a qualche strumento di moralizzazione che, a volerci essere ottimisti, sarebbe dovuto essere il core business del movimento. In definitiva, non solo pochi hanno detto la loro, ma quelli che lo hanno fatto hanno riservato un trattamento tutt’altro che tenero alle regole sulla trasparenza e integrità, come se l’etica fosse una roba da troppo seria da prendersi davvero a cuore.
Questa consultazione, dunque, conferma il M5S come una creatura oscilla tra rinnovamento e conservatorismo, tra voglia di cambiamento e attaccamento alle proprie poltrone – il tutto condito da una partecipazione che in ogni caso più bassa non si può. Chi pensava che la svolta sarebbe stata epocale, avrà anche lui sottoscritto il declino in forma di click stanco e rapidissimo.
Le nuove regole del gioco politico nel Movimento 5 Stelle hanno un effetto sorprendente: riportano in campo i veterani, quei “big” che tutti credevano ormai messi da parte, sepolti sotto il peso di mandati infiniti e promesse di novità.
Adesso, se hai già svolto due mandati in un’istituzione, niente paura: potrai tranquillamente candidarti in un’altra. Prendiamo Roberto Fico, per esempio, che dopo un decennio in Parlamento si prepara a fare il salto alla Regione. Se invece puntavi a un terzo mandato nello stesso posto, ti tocca aspettare cinque anni, perché qui c’è almeno un po’ di trama.
Naturalmente, c’è sempre la via di scampo più comoda: il leader del Movimento può inserirti in un “pacchetto deroghe” – un modo elegante per dire “regoliamolo a favore dei nostri”. Ed eccoci di nuovo alla figura più potente dell’operazione: Giuseppe Conte, ovvero colui che potrà scegliere il 5% dei candidati, non solo tra i grillini di lungo corso, ma anche tra personaggi esterni al Movimento. Tradotto: il suo potere sulle liste è praticamente incontrastato.
Per non farci mancare niente, viene introdotta anche una regola “anti-infiltrati”. Così, chiunque voglia correre per le europee, il Parlamento o le Regioni con il simbolo pentastellato dovrà aver già dimostrato di sapersi muovere nel circo comunale o municipale, avendo ottenuto un numero di preferenze almeno pari alla media dei candidati della propria lista. Tradotto in italiano: se non sei abbastanza popolare in basso, non entri nemmeno in lista per livelli più alti.
Ecco il colpo di scena finale: con queste nuove regole, Conte non si limita a fare il regista dietro le quinte, ma si prepara a scendere in campo per il secondo mandato da leader. Come dire: tutto cambia perché nulla cambi davvero.



